Esther Shein
Contributing writer

8 motivi per i quali la digital transformation può fallire

In primo piano
01 Aug 202311 minuti
Trasformazione digitaleLeadership IT

La mancanza di una visione, del sostegno da parte della leadership, e la difficoltà di impostare un impegno a lungo termine sono solo alcune delle ragioni per le quali i percorsi di trasformazione digitale prendono strade sbagliate o si esauriscono prima del tempo.

Stressed, tired and frustrated business man with headache at night from burnout or making mistake on laptop. Overworked creative entrepreneur failing to meet late office deadline or working overtime
Credito: Shutterstock / PeopleImages.com - Yuri A

Le trasformazioni digitali possono andare fuori controllo anche nei momenti migliori del loro sviluppo, e negli ultimi due anni, da quando i dipendenti hanno iniziato a lavorare da remoto, si è creato ulteriore scompiglio.

Tuttavia, dato che il tempo è quello che è, con le aziende iperconcentrate sulla digitalizzazione, è più importante che mai affrontare i problemi e risolvere le problematiche. Oggi, le imprese non possono permettersi di fallire nella digital transformation [in inglese], poiché “siamo entrati nell’era del business digitale, dove la trasformazione deve essere parte del DNA dell’azienda”, emerge dal FutureScape 2023 di IDC: Worldwide CIO Agenda 2023 Predictions [in inglese].

IDC definisce le società digitali come imprese dinamiche che devono evolvere continuamente i loro modelli operativi e le piattaforme digitali che stanno alla base delle loro attività. In questo nuovo mondo, l’IT non è un’azienda, ma il tessuto stesso dell’azienda”, osserva il rapporto IDC. “I CIO dovranno trovare nuovi modi per governare la tecnologia digitale, mentre i suoi tentacoli si estendono sempre più in profondità nell’azienda e nei suoi ecosistemi”.

Ecco otto motivi per cui le trasformazioni digitali continuano a fallire.

Trasformazioni al volo

Quando, nel marzo del 2020, la pandemia ha sferrato il suo colpo iniziale, “le persone hanno individuato le difficoltà e hanno trovato soluzioni immediate” per affrontarle, afferma Michael Spires, direttore e responsabile della trasformazione tecnologica di Hackett Group.

Ciò significa che non hanno fronteggiato i problemi tecnologici di fondo o le modalità di svolgimento del lavoro, ma hanno adottato un atteggiamento del tipo “abbiamo una crisi e rispondiamo”. La ricerca di Hackett ha rilevato che se l’IT ha ottenuto la possibilità di lavorare da remoto, e i CIO hanno aumentato la loro rilevanza all’interno dell’azienda [in inglese], si è avuto come contraltare la costruzione di piattaforme non ottimali”.

Ciò può essere addebitato al fatto che la divisione tecnologica ha utilizzato vecchie tecnologie di base non integrate, oppure alla crescita dell’azienda attraverso acquisizioni, con la conseguente difficoltà dell’IT nel migrare le diverse tecnologie presenti su una piattaforma comune, prosegue Spires.

L’Information Technology ha cambiato la modalità di rispondere alle esigenze di business, in modo positivo, aggiunge, “ma con una tecnologia che non era stata razionalizzata o ottimizzata. Quindi le piattaforme non erano stabili”.

Una cosa è dirottare risorse per ottenere risultati durante una crisi, un’altra è pensare che ciò possa essere sostenibile in condizioni normali, dice Spires. “Lo si può fare per 6 o 18 mesi, come è avvenuto per rispondere alle sfide del mercato legate alla presenza del Covid, ma non si costruisce una piattaforma tecnologica a lungo termine e non si cambia necessariamente il modo in cui ci si incontra con gli stakeholder”.

Il risultato di tutto questo è che molti leader IT si trovano, oggi, a dover affrontare un debito tecnico prodotto dalla pandemia [in inglese].

L’assenza di una visione chiara

Quando le aziende scelgono di impegnarsi in una trasformazione di tipo industriale che prevede l’aggiornamento della spina dorsale tecnologica, la soddisfazione iniziale è quasi sempre scarsa, argomenta Stephanie Woerner, direttore del MIT Sloan Center for Information Systems Research (CISR), e principal research scientist.

La spina dorsale operativa dipende dal tipo di azienda, spiega l’esperta. Potrebbe trattarsi dell’implementazione di un sistema SAP o di una piattaforma bancaria di base.

È un percorso difficile da affrontare e, se non si ha una visione in mente e non si riesce a comunicarla, diventa difficile per il personale fino a quando… non si ottiene un aumento della produttività”, continua Woerner.

Inoltre, le aziende spesso dimenticano che una digital transformation consiste nel fare due cose contemporaneamente: digitalizzare la backbone, e automatizzare e semplificare componenti e processi”, spiega ancora Woerner, che è anche coautrice del libro di recente pubblicazione Future Ready: The Four Pathways to Capturing Digital Value.

Per esempio, per l’onboarding di un cliente, le aziende dovrebbero identificare il modo migliore per farlo, e riutilizzare quel processo più volte. Dovrebbero prevedere anche il riutilizzo dei dati invece di cercare di ricrearli da zero ogni volta, sostiene la manager.

”Il problema è che i dirigenti cadono nella trappola di non prestare attenzione al cliente” quando creano la struttura operativa di un’iniziativa digitale, dichiara Woerner. “Credo che negli ultimi due anni sia stata trascurata la necessità di accogliere contemporaneamente anche le iniziative per i clienti”.

La ricerca del CISR ha dimostrato che, quando le aziende si trasformano, “non si tratta solo della struttura portante operativa, ma anche della soddisfazione del cliente”.

Le iniziative digitali falliscono quando “mancano una visione e una strategia fortemente chiare”, dichiara Tony Ambrozie, vice president senior e chief digital e information officer del Baptist Health South Florida.

Ma anche in presenza di una visione efficace, di una strategia, e del sostegno del consiglio di amministrazione, i fallimenti possono verificarsi in assenza di “obiettivi e traguardi chiari e nitidi lungo il percorso, in modo che tutti capiscano se il successo sta avvenendo e se la trasformazione è riuscita”, prosegue.

Gli insuccessi possono verificarsi anche quando non si pianifica in anticipo la trasformazione digitale. I progetti possono essere inutili, ma la pianificazione non ha prezzo”, sottolinea Ambrozie. “Non si può sostituire un’esecuzione rigorosa” con l’assegnazione di risorse dedicate.

Dimenticare di accompagnare il cliente nel suo viaggio

Una trasformazione digitale può anche fallire se non si è compreso come far migrare i clienti verso il nuovo modo di fare business, dice Woerner.

Per esempio, “le banche digitali sono uno strumento molto efficace, ma se non avete capito come convincere i vostri clienti a usare il nuovo servizio, vi ritroverete con due unità aziendali che fanno la stessa cosa”, il che significa che una deve ancora effettuare transazioni di persona mentre l’altra è passata all’online banking.

“Se non riuscite a spostare i vostri clienti dall’attività di persona a quella online perché non avete capito come migrare, e c’è molta resistenza da parte dei clienti… questo è un fallimento”, aggiunge l’esperta.

Il CISR ha visto che questo accade soprattutto con le banche: hanno grandi idee di trasformazione, “e poi si rendono conto di aver dimenticato di prendere per mano il cliente”, prosegue Woerner.

Così come, di solito, si fa molta formazione per i dipendenti, dimenticando quanto sia importante formare a livello organizzativo anche i clienti. Questo può essere fatto sotto forma di comunicazioni specifiche, spiega Woerner.

Lo scopo principale di una trasformazione digitale è servire meglio il cliente, l’azienda e i suoi dipendenti, concorda Ambrozie.

La sfida dello shock culturale

Allo stesso modo, la sfida principale della digital transformation riguarda il cambiamento culturale [in inglese], e si affianca a quelle che riguardano, tipicamente, l’architettura e le soluzioni tecnologiche, argomenta Raju Seetharaman, vice president senior dell’IT e della trasformazione presso la divisione assicurativa di Legal & General America.

“Gli stakeholder sono abituati al modo in cui lavorano e c’è una resistenza al cambiamento che va gestita”, dice Seetharaman. “Si tratta di accompagnarli nel ‘viaggio’” e di capire come gestire la trasformazione [in inglese].

Il suo consiglio è quello di fornire ai dipendenti una versione anticipata del prodotto da trasformare. Se si tratta di un grande cambiamento di piattaforma, è bene dare loro una release ridotta o una demo, in modo che possano fornire un feedback e sentirsi parte del viaggio. L’IT dovrebbe anche apportare miglioramenti rapidi se agli stakeholder non piace qualcosa. Altrimenti, il prodotto potrebbe essere destinato a fallire.

Woerner concorda, affermando che nella sua ricerca la maggior parte dei fallimenti si è verificata quando i CIO e gli altri leader non hanno coinvolto tutti e non hanno affrontato il cambiamento culturale che il digitale porta con sé organizzando programmi di formazione.

”La maggior parte di questi sforzi non avrà molto successo, perché per cambiare una cultura è necessario cambiare anche le abitudini, e questo significa rivoluzionare il modo in cui le persone lavorano”, precisa. “Quindi suggeriamo di impegnarsi davvero su queste nuove modalità di gestire le attività lavorative, come, per esempio, assicurarsi che [i dipendenti siano] molto bravi ad agire in modo agile e a portare i dati nel processo” invece di creare ipotesi.

La mancanza di impegno a lungo termine

La difficoltà nel reperire fondi sufficienti, oltre che uno scarso acume commerciale sono altri modi sicuri per far fallire un’iniziativa digitale, dice Franzuha Byrd, CIO di MorganFranklin Consulting.

”I leader IT sono bravissimi a implementare la tecnologia, ma se si chiede loro di articolare il valore di un progetto di trasformazione digitale in termini finanziari, la maggior parte non riesce a farlo”, dice Byrd. “Spesso riscontro aspettative irrealistiche. Aspettarsi che un leader tecnologico raggiunga un alto grado di allineamento con i risultati aziendali desiderati se non ha un forte background di business è impraticabile”.

È importante che queste iniziative dispongano di budget e impegni pluriennali dedicati, per sostenerle sia negli anni buoni che in quelli cattivi, riflette Ambrozie.

“Le aziende, e in particolare il CFO, devono avere una chiara comprensione dei ritorni sugli investimenti, come si manifesteranno, e quando”, in modo che non ci si aspetti che il ROI sia immediato. “Altrimenti, si rischia di giudicare l’inizio come un fallimento invece che come la fase iniziale di un successo a lungo termine”.

Considerare gli strumenti non in modo tattico

Molte imprese, quando valutano gli strumenti per guidare l’adozione digitale e le implementazioni tecnologiche, non hanno fatto un passo indietro per considerare prima ciò di cui hanno davvero bisogno, dice Spires. Una parte della divisione tecnologica potrebbe accaparrarsi una soluzione e decidere di utilizzarla altrove, ma questo produrrebbe una mancanza di coordinamento significativo per l’adozione di un set di strumenti comune, aggiunge Spires.

“In questo caso si hanno competenze frammentate su più soluzioni”, prosegue. “Le decisioni vengono prese in fretta e furia”, senza pensare a ciò di cui necessita lo sforzo di trasformazione.

Questo porta a “non pensare al quadro generale, ma alla tattica, alla crisi e al momento”. “Vediamo ancora molti silos e… [l’IT] non gestisce il tutto in modo olistico, generando la proliferazione di piattaforme sullo sfondo di una mancanza di elementi comuni tra di loro”.

Data la carenza di personale IT in questo momento, più tecnologie vengono introdotte, più si “replica il problema invece di affrontarlo con la soluzione informatica più adatta”, sottolinea il manager.

La mancanza di un supporto da parte della leadership

La maggior parte delle iniziative tecnologiche fallisce senza il sostegno della C-suite, e la trasformazione digitale non si sottrae da questa condizione, soprattutto se si considera l’impatto di grande portata che avrà su tutti i dipendenti, dichiara John Roman, CIO di The Bonadio Group, una società nazionale di servizi contabili e finanziari. “Se la prima linea del management non dà voce al proprio sostegno, nessuno lo farà”.

A meno che non si abbia “il supporto incondizionato del consiglio di amministrazione, dell’amministratore delegato e dei dirigenti senior”, questa è una ricetta per il fallimento, concorda Ambrozie. Un [chief digital officer] guiderà tali sforzi, ma dietro a questi individui deve esserci il beneplacito del consiglio di amministrazione”, sottolinea Ambrozie.

Quando le unità aziendali non comprendono il loro ruolo

La missione dell’IT è cambiare la tecnologia di base, ma spesso l’azienda non capisce che cosa le viene richiesto, osserva Spires. “È necessario che la leadership aziendale dica: ‘I risultati sono miei e la tecnologia è responsabile della loro realizzazione’. Spesso mancano le competenze da entrambe le parti”.

Quando l’impresa non articola il proprio ruolo, il team tecnico si sente obbligato a intervenire, ma spesso “non è adeguatamente informato su ciò che l’azienda vuole in modo da assumere quel ruolo”. Quando ciò accade, prende decisioni per conto di un’unità che non è adeguatamente coinvolta. Lo vedo spesso”, dice Spires.

Secondo Roman, l’IT può anche non riuscire a comunicare i “perché” e i vantaggi della trasformazione e, a volte, non trasferisce in modo efficace ai dipendenti il “cosa ci guadagno”, osserva. “Quando manca una comunicazione efficace e coerente, le iniziative di trasformazione digitale spesso falliscono o non ottengono l’adozione che l’IT spera”.

È necessario collaborare all’interno dell’intera azienda per garantire che tutti si muovano verso la digitalizzazione, aggiunge Seetharaman. “Una marea crescente solleva tutte le barche, e questa è stata una lezione fondamentale appresa negli ultimi due anni”.

Esther Shein
Contributing writer

Esther Shein is a journalist with extensive experience writing and editing for both print and the web with a focus on business and technology as well as education and general interest features.

Altro da questo autore