Patrizia Licata
Di Patrizia Licata

Cloud: i servizi sulla “nuvola” fanno davvero risparmiare?

Analisi
24 Jul 20235 minuti
Cloud ComputingGestione del cloud

Passare al cloud rappresenta anche un modo per contenere i costi? Sì, ma non sempre. E soprattutto: i vantaggi del paradigma as-a-service risiedono nella scalabilità e nella velocità, che si traducono in una maggiore, generale competitività per l’impresa. Occorre, però, muoversi con attenzione, monitorando i consumi per evitare i costi “nascosti, e rinegoziare il contratto con il fornitore, qualora non dovesse più rispondere alle vostre esigenze.

Credito: getty

Nel 2022, le imprese italiane hanno speso 2,95 miliardi di euro in cloud pubblico e ibrido, ovvero quell’insieme di servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra sistemi gestiti e sistemi in casa (on-premise). Tuttavia, a fronte di questo investimento (rilevato dall’Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano), qual è il ritorno?

Spesso il cloud computing viene presentato come una tecnologia che riduce i costi nelle imprese, permettendo di passare da un modello Capex (che richiede di investire per l’acquisto e la manutenzione dei sistemi) a un modello Opex (in cui si spende solo per la gestione).

“Sì, il cloud ci fa risparmiare”, conferma Raffaele Schiavullo, CIO di Italia Power, società che offre soluzioni energetiche per famiglie, condomini e imprese. “Quando abbiamo bisogno di più risorse IT non occorre comprare nuovi server: i cambiamenti si attivano online in mezz’ora. Il costo di un server – aggiunge il CIO – equivale a diversi anni di contratto col cloud provider. Le macchine hanno anche una serie di infrastrutture collegate da gestire, che richiedono soluzioni di cybersicurezza e vanno incontro a obsolescenza”.

Evita, invece, di parlare di risparmio Flavio Del Bianco, CTO e co-founder di BizAway (piattaforma per i viaggi business): i vantaggi sono altri. “Il servizio gestito offre soluzioni facili da usare, senza bisogno di competenze specialistiche, e velocizza l’attività. Ma è pur sempre un investimento”, afferma Del Bianco. “Nel lungo termine, però, il cloud conferisce un vantaggio competitivo. Oggi la voce di costo è del tutto sostenibile rispetto al valore aggiunto della scalabilità, che è il vero beneficio strategico che abbiamo ottenuto”.

Il cloud fa risparmiare? Facciamo il punto

Secondo la ricerca del Politecnico di Milano, nelle grandi imprese, l’adozione del cloud rappresenta la modalità di erogazione del 44% del parco applicativo: dunque, quasi alla pari con l’erogazione on-premise. Tra le Pmi, il 52% adotta almeno un servizio cloud (+7% rispetto al 2021). 

Tre sono i modelli in cui viene suddiviso il servizio cloud: SaaS (software as-a-service), che fornisce l’accesso a un software come servizio; IaaS (infrastructure as-a-service), in cui le risorse informatiche come le macchine virtuali, lo storage, le reti e i sistemi operativi sono erogati da un fornitore; e PaaS (platform as-a-service), cheoffre piattaforme e ambienti cloud preconfigurati per lo sviluppo, la distribuzione e l’esecuzione di applicazioni.

Sia Schiavullo di Power Italia che Del Bianco di BizAway hanno adottato il cloud nella modalità SaaS. L’esperienza può essere diversa per le aziende che iniziano il cloud journey da infrastruttura e piattaforma (IaaS e PaaS) per poi proseguire col SaaS, come accaduto anche in alcuni enti dell’amministrazione pubblica. In questi casi, non tutti i CIO rilevano una riduzione dei costi, ma restano fermi i vantaggi di scalabilità, flessibilità e velocità. Inoltre, le applicazioni possono essere modernizzate e rese cloud-native (col PaaS). Non meno importante, vengono garantite in modo più efficiente la capacità di disaster recovery e la continuità di business. 

I “veri” vantaggi del cloud

Anche Del Bianco evidenzia il vantaggio della business continuity. Nel primo lockdown del 2020, in piena emergenza Covid, le attività di BizAway non si sono mai fermate: “Non abbiamo avuto alcuna difficoltà a passare dall’oggi al domani in remote working, perché tutti i dipendenti avevano il computer portatile e i dati nel cloud”. La sicurezza è un altro elemento chiave: “Per la tutela del dato e la gestione della cybersecurity, dal mio punto di vista, l’investimento nel cloud è completamente ripagato”. Ancora maggiore è il beneficio portato dalla velocità con cui si ottengono le risorse: “Il cloud ci ha permesso di crescere senza panico da IT”, racconta il CTO. “La scalabilità è il vero fattore competitivo del cloud: con le macchine in house non saremmo riusciti ad aumentare le risorse IT così rapidamente nel momento di espansione del business e dei clienti”.

Come evitare i costi “nascosti” 

Il rischio di pagare troppo per il proprio servizio cloud esiste, ma si può evitare con qualche accorgimento. Per esempio, se i costi del cloud aumentano perché la nostra azienda sta crescendo, non c’è niente di cui preoccuparsi. Ma esiste anche una crescita “non sana”- evidenziata in un’analisi di McKinsey – legata alla mancanza di controllo sulle risorse che stiamo pagando o sulle istanze che lasciamo accese, ed è lì che si può intervenire.

“Certo, esiste il rischio di pagare risorse superiori a quelle necessarie o di dimenticare delle istanze accese”, conferma Schiavullo. “Ma basta adottare un monitoraggio costante sui consumi e sul budget. Soprattutto in un’azienda medio-piccola, è più difficile perdere il controllo di quello che succede nell’IT”.

Per tenere d’occhio i costi vale la pena anche commisurare i servizi cloud alle necessità delle proprie applicazioni, organizzare l’archiviazione dei dati in più livelli (“storage tiering”) e assicurarsi di avere istanze aggiornate. Queste ultime sono indispensabili per estrarre tutto il valore dell’elasticità del cloud, che può essere limitata da tecnologie vecchie, come modalità di provisioning rigide e manuali.  Su un altro punto gli analisti di McKinsey sono chiari: se stiamo pagando troppo per risorse che non ci servono dobbiamo rinegoziare il contratto col fornitore. “Molte organizzazioni non iniziano a rinegoziare se non quando mancano 12 -18 mesi alla scadenza del contratto e a quel punto è spesso troppo tardi per una trattativa proficua”, affermano gli esperti. La domanda da farsi è: “Allo stato attuale, firmerei lo stesso accordo?”. Se la risposta è no, rinegoziate.

Patrizia Licata
Di Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Giornalista professionista e scrittrice. Dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare come freelance sui temi dell’innovazione e dell'economia digitale. Scrivo anche di automobili, energia, risorse umane e lifestyle. Da una ventina d’anni collaboro con le principali testate italiane su carta e web.

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