Cloud ibrido, multicloud e qualche componente legacy: questo lo scenario IT che accomuna il percorso verso la “nuvola” di alcune grandi organizzazioni pubbliche e private. INAIL e Carel Group sottolineano l’importanza di evitare il vendor lock-in e differenziare in base ai casi d’uso. Diverso il caso del GARR: il cloud provider per la comunità italiana dell’istruzione e della ricerca ha creato due modelli complementari, rispettivamente su software open source e proprietario. Credito: Getty C’è molto cloud computing nella spesa IT italiana: l’Assintel Report 2022 parla di un Cagr (tasso di crescita annuale composito) 2021-2023 del +6,8%, con la migrazione alla “nuvola“ che rappresenta uno dei fattori trainanti. Lo studio, realizzato dall’Associazione Nazionale delle Imprese ICT e Digitali insieme a IDC Italia, stima che le imprese italiane abbiano speso in IT oltre 36 miliardi di euro nel 2022 (+5,4% rispetto al 2021) e prevede, per la fine del 2023, investimenti superiori a 38 miliardi. Il miglioramento della resilienza digitale, e la modernizzazione delle infrastrutture e delle applicazioni aziendali verso le piattaforme cloud sono, anche per quest’anno, spinte determinanti per la crescita.Le grandi organizzazioni sono i maggiori investitori, grazie a progetti cloud di vasta scala, spesso basati su cloud ibrido, che unisce cloud pubblico e cloud privato, e su multicloud, che implica l’acquisto da più fornitori. Ma non esiste una taglia unica: ogni percorso è una strategia personalizzata. INAIL: il cloud migliora il servizio al cittadino Una dimostrazione arriva da INAIL, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro: per l’ente “il cloud journey consiste nel portare su cloud ibrido i sistemi nati on-premises per renderli ancora più robusti in ottica di business continuity e disaster recovery”, afferma il CIO Stefano Tomasini. La strategia cloud di INAIL è complessa come giustificano le dimensioni dell’istituzione, così come il volume dei dati e i carichi di lavoro: mentre è in corso l’evoluzione dei sistemi e delle applicazioni legacy, l’IT ha già intrapreso lo sviluppo di applicazioni cloud-native basate su container. Il journey è iniziato con l’implementazione IaaS (infrastructure-as-a-service), mentre ora PaaS (platform-as-a-service) e SaaS (software-as-a-service) si affiancano, come nel caso della migrazione dell’ERP, verso il cloud. Sulla variante privata di quest’ultimo poggiano la modernizzazione dell’infrastruttura, la virtualizzazione, l’orchestrazione dei container (con Red Hat OpenShift) e l’integrazione delle API, spiega Tomasini, mentre sul cloud pubblico vengono gestiti il portale INAIL, le app per il cittadino, il contact center ServiceNow, il servizio di firma digitale e il Click Day, il sistema che gestisce il Bando Isi INAIL tramite il quale l’ente mette a disposizione delle imprese contributi a fondo perduto. “Il cloud pubblico permette a INAIL di rispondere in modo efficiente a un alto numero di richieste sull’infrastruttura concentrato in un breve lasso di tempo”, afferma Tomasini. “Per la PA è essenziale migliorare il servizio erogato e il public cloud garantisce scalabilità, flessibilità e velocità”. Carel Group, modello ibrido e multicloud Anche per Carel Group (multinazionale italiana che progetta, produce e commercializza hardware e software per la gestione di impianti di condizionamento dell’aria, di refrigerazione, umidificazione ed evaporative cooling), il viaggio verso il cloud si compone “di scelte diverse che si affiancano per soddisfare necessità specifiche”, evidenzia l’ICT Manager, Giuseppe Frison. Carel è un’impresa medio-grande con un’offerta complessa: per il team di Frison si tratta di gestire più di 30 soluzioni e numerosi servizi. “Per questo il modello è ibrido, non tutto su public cloud”, afferma Frison. “Abbiamo anche un approccio multicloud, che evita il vendor lock-in e ci dà la libertà di spostarci, se opportuno, su un’alternativa che garantisca la qualità più alta”. Nell’IT di Carel, dunque, alcune soluzioni sono sviluppate internamente e vengono date in hosting, sia perché “non esistevano pronte in cloud”, sia perché “abbiamo l’esigenza che risiedano in un’area geografica unica e accessibile per tutte le sedi, non su server distribuiti”, spiega Frison. Si trovano, invece, su reti LAN (Local Area Network) separate le soluzioni legate ai processi di fabbrica, come il MES (Manufacturing Execution System). Carel produce, infatti, principalmente elementi elettronici, e i sistemi IT del manufacturing gestiscono, in base alla domanda dei clienti, la configurazione, la scelta dei componenti discreti e le modalità di fabbricazione del prodotto. In questo processo “è essenziale – evidenzia Frison – azzerare la latenza che può venirsi a creare dal comando all’esecuzione”. Un altro fattore dietro la scelta della LAN in fabbrica è la presenza di macchine di età diversa: alcuni sistemi legacy non possono essere facilmente spostati in cloud. E poi c’è l’adozione del cloud pubblico: con il SaaS, afferma Frison, “a fronte di nessun investimento in server e un solo abbonamento, otteniamo software, archiviazione, cybersicurezza, business continuity, manutenzione, aggiornamenti e grande capacità di scalare. L’IT deve occuparsi solo degli accordi sugli SLA con il provider”. In particolare, Carel ha spostato completamente sul SaaS il servizio clienti all’interno della piattaforma CRM: “Siamo un’azienda fortemente orientata al cliente e il Customer Service è globale e aperto 24 ore su 24”, spiega Frison. “Il cloud ci permette una gestione centralizzata efficiente e veloce”. Per l’ERP, invece, Carel ha adottato la versione on-premises di un prodotto che è anche in cloud, ritenendola più funzionale. Ha, tuttavia, portato in cloud la parte che gestisce gli acquisti indiretti, con il vantaggio di avere un sistema standardizzato per tutto il Gruppo e di poterla collegare con il resto dell’ERP “in sede”. GARR, un hyperscaler per il mondo della ricerca Rappresenta un unicum il caso del GARR, la rete italiana a banda ultralarga dedicata alla comunità dell’istruzione, della ricerca e della cultura gestita dal Consortium GARR (fondato sotto l’egida del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Il cloud dell’istituzione, infatti, è un’infrastruttura creata e gestita autonomamente. Il GARR è dunque un cloud provider, ma la sua rete e il suo servizio sono rivolti solo agli istituti di istruzione e di ricerca italiani. Si tratta di un cloud pubblico per specifici fruitori o, se vogliamo, di un cloud privato federato. Come racconta il vicedirettore e Chief Technical Officer, Massimo Carboni, “Il consorzio ha costruito il suo cloud anche a scopo di sperimentazione, affiancando due scenari diversi: un cloud come infrastruttura, costruito su software open source, e un cloud come modello per l’erogazione dei servizi GARR, che integra software open source e software proprietario”. Da un lato c’è, dunque, l’infrastruttura cloud GARR su software open source, su cui girano sistemi di calcolo che possono essere messi a disposizione degli utilizzatori finali con un meccanismo di partizionamento (Virtual data center). “Agli utenti vengono date parti delle risorse di calcolo e interfacce semplificate. Le risorse sono federate, e ogni utente finale accede con le sue credenziali”, riferisce Carboni. “In questo contesto cloud, il GARR ha utilizzato tecnologie di virtualizzazione, virtual data center e Kubernetes su uno strato software basato su OpenStack e Storage Red Hat Ceph”. La componente Deployment-as-a Service (DaaS) fornisce applicazioni cloud pre-confezionate e attivabili in pochi click, da selezionare in un catalogo in rete per gli amministratori IT dei vari enti connessi a GARR. Dall’altro lato, c’è il modello cloud applicato all’erogazione dei servizi: questo si basa su Kubernetes “per offrire agli sviluppatori e agli amministratori di sistema la possibilità di caricare, organizzare, eseguire, scalare e gestire applicazioni basate su container, con un approccio cloud-native e DevOps”, prosegue il CTO del GARR. Mediante l’approccio DevOps è possibile rendere disponibili in poco tempo nuove soluzioni capaci di ricevere rapidamente feedback ed essere migliorate in modo incrementale, permettendo una continua evoluzione del sistema. “Per andare su Kubernetes abbiamo proceduto prima a una semplificazione dell’infrastruttura sottostante”, indica Carboni. “Poi abbiamo avviato lo sviluppo di un insieme di microservizi usando la piattaforma open source Kubernetes. Al momento, il 90% dei nostri servizi – circa 80 – e tutta l’infrastruttura di gestione della rete sono su container e il vantaggio è molto grande in termini di orchestrazione e resilienza”, evidenzia il CTO del GARR. Kubernetes, infatti, ha un ecosistema di supporto, con servizi quali monitoraggio e visibilità, che avvisa immediatamente in caso di problemi, e può, al tempo stesso, eliminare la parte malfunzionante e riavviarsi automaticamente. Nel cloud journey il CIO deve portare a bordo gli executive Qualunque sia l’approccio al cloud, è chiaro che la scelta della soluzione più adatta è guidata dalla ricerca di una maggiore efficienza e di un miglioramento del servizio erogato. Per eseguire questa strategia la spinta del CIO, però, non basta: anche il CEO, il CFO e tutta la C-suite devono essere a bordo, perché molti elementi della gestione cambiano. “L’offering cloud è molto diverso da quello tradizionale”, evidenzia Frison. Il CIO deve spiegare qual è la cultura del cloud, che implica controllo sui costi e condivisione delle responsabilità: è questo il vero cuore del cloud journey. 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