Patrizia Licata
Di Patrizia Licata

I CIO e le scelte sul software: come avere successo con l’open source

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09 Oct 20237 minuti
Applicazioni aziendaliOpen Source

I CIO partecipano attivamente ai programmi di innovazione software aziendali con le loro scelte e l'open source permette l’evoluzione e la modernizzazione delle operazioni IT, offrendo vantaggi anche nel contenimento dei costi, evidenzia IDC. Ma non esiste una formula unica e, comunque, sono richieste competenze specifiche competenze e una cultura aziendale dedicata

Italy men business office
Credito: Shutterstock / Imtmphoto

La necessità delle imprese di gestire attentamente i costi mette i CIO di fronte a una crescente pressione per giustificare la spesa nello sviluppo software: i direttori dell’information technology devono dimostrare che gli investimenti proposti sono nell’interesse migliore dell’azienda. Lo scrive IDC in una nota di ricerca che abbraccia l’intero panorama dello sviluppo applicativo e si basa anche su un sondaggio globale condotto tra i CIO. La società di ricerche prevede un cambiamento qualitativo nelle attività software, favorito e sponsorizzato proprio dai chief information officer. In questo panorama, si collocano le scelte tra software proprietari e open source: quale dei due mondi è preferibile?

“Secondo IDC, i due modelli si muovono su un binario convergente rispetto a posizioni passate, in cui erano visti quasi come scelte di campo e in contrapposizione”, afferma Fabio Rizzotto, VP, European Consulting and Custom Solutions di IDC. Oggi “Le due logiche coesistono e operano in modo sinergico nell’ecosistema, che non potrebbe funzionare senza l’una o l’altra. Naturalmente, in molti ambiti e mercati, le due filosofie continuano a operare in competizione ma, nel complesso, è indubbio il valore positivo che le tecnologie open source hanno rappresentato e continueranno a rappresentare per il miglioramento e per l’evoluzione delle IT operation e dei modelli di sviluppo applicativo”.

PagoPA: open source da sempre

È un sì convinto all’open source quello di PagoPA e del suo Chief Information Officer Mirko Calvaresi. PagoPA è la società pubblica (partecipata dallo Stato attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e sottoposta alla vigilanza della presidenza del Consiglio) che ha la mission di progettare e costruire le infrastrutture digitali dello Stato per diffondere servizi pubblici digitali sempre più facili da usare, sicuri e rispondenti ai bisogni dei cittadini, nonché accompagnare la modernizzazione della Pubblica Amministrazione e del Paese. Tra queste ci sono la nota piattaforma nazionale dei pagamenti pagoPA e IO, l’App dei servizi pubblici.

“La nostra posizione sull’open source è convinta, tanto da esserci dotati al nostro interno di un OSPO: Open Source Program Office”, afferma Calvaresi. “Abbiamo condotto un lavoro con un team multidisciplinare, in particolare con il coinvolgimento del Dipartimento Legale della Società, per sistematizzare tutte le licenze e selezionare il modello di licensing dei software open source più adatto all’azienda. L’Open Source Program Office ha, nello specifico, il compito di definire la strategia open source aziendale, curandone tutti i dettagli e le evoluzioni nel tempo”.

Per PagoPA, infatti, l’open source, più che una scelta tecnologica, è “cultura aziendale”, sottolinea il manager. “Penso che l’open source sia una garanzia di trasparenza nei confronti degli utilizzatori finali delle tecnologie. Nel caso dei prodotti e delle soluzioni di PagoPA, parliamo di tutti gli italiani e delle pubbliche amministrazioni centrali e locali. I prodotti OSS (Open Source Software), infatti, aiutano ad aumentare il livello di trust nella digitalizzazione, anche perché danno un maggiore controllo sulla catena di creazione del codice”.

E poi c’è l’aspetto culturale, o etico, del contributo alla community di sviluppatori: una forma di restituzione da parte della Società in termini di conoscenza informatica condivisa. Per un’azienda a controllo pubblico si tratta di un valore ancora più importante, secondo il CIO di PagoPA. “Per PagoPA, l’OSS rappresenta un’evoluzione culturale del mondo del software perché introduce una modalità di collaborazione standardizzata tra diversi attori che concorrono alla catena del valore del software, sia nel pubblico che nel privato”, afferma Calvaresi.

L’approccio virtuoso di PagoPA all’open source è stato recentemente riconosciuto con il premio internazionale Open Source Creation of the Year che IO, l’app dei servizi pubblici, si è aggiudicata nel 2022. Il riconoscimento era dedicato alla soluzione open source di maggior impatto, all’interno dei Future of Government Awards organizzati dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), AWS Institute e Apolitical. Secondo le motivazioni pubblicate dagli organizzatori, l’app IO è stata premiata per il cambio di paradigma nella burocrazia italiana: invece di richiedere ai cittadini di navigare attraverso decine di piattaforme per accedere ai servizi pubblici o adempiere ai propri doveri nei confronti dello Stato, IO porta direttamente nelle tasche delle persone servizi pubblici semplici e incentrati sull’utente.

Per chi (non) va bene l’open source

PagoPA non è l’unico ente pubblico che ha abbracciato l’approccio open source. In Italia, il Codice per l’Amministrazione Digitale (CAD) e le linee guida di indirizzo suggeriscono alle pubbliche amministrazioni di preferire sempre software open source in fase di acquisizione di nuove soluzioni. Infatti, solo nel caso in cui non ci siano alternative di questo genere adeguate, le PA possono decidere di commissionare lo sviluppo di nuovo software avendo l’accortezza di renderlo interamente disponibile in riuso (quindi dotarlo, a sua volta, di una licenza open source).

Il paradigma open source, inoltre, è anche alla base della strategia digitale della Commissione Europea che, a sua volta, si è dotata di un OSPO dedicato. In questo contesto “PagoPA si impegnerà a monitorare da vicino l’evoluzione dei programmi europei sull’open source, partecipando attivamente ai network di settore e con un focus particolare su quelli coordinati direttamente dalla Commissione” continua Calvaresi.

Per molti CIO della pubblica amministrazione il vantaggio dell’open source è che si dispone di una base di sviluppatori potenzialmente illimitata e si possono far evolvere le applicazioni rapidamente. I CIO più appassionati sottolineano che l’open source è uno strumento che permette di beneficiare del lavoro di tutti: gli sviluppatori documentano ogni passo della loro produzione, e così incrementano il sapere come bene sociale. Ma il sapere condiviso non equivale a “prodotto gratuito”. Anzi, lo sviluppo e la documentazione hanno un costo in termini di tempo e know-ho, come dimostrano i grandi gruppi tecnologici privati dell’open source, che vendono esattamente il valore aggiunto che mettono sull’OS puro.

Il punto è che l’open source non è una regola e non vale per tutti. Nel settore privato, il CIO di PagoPA Calvaresi ritiene l’open source software “più adatto alle imprese software o con una forte componente digitale. Molto dipende dalla forza organizzativa e dalla capacità di lavorare sull’open source: occorre personale interno con la cultura dell’open source e con una buona conoscenza dei framework OSS. Inoltre, non è una scelta solo tecnica che il CIO compie da solo: è un riflesso dei valori aziendali convogliati nell’IT”.

Come osserva Rizzotto di IDC, alle potenzialità dei nuovi modelli di sviluppo e delle nuove architetture software, “si accompagnano resistenze e complessità” e occorre “governare questo potenziale, affinché evolva in modo coordinato rispetto agli obiettivi IT e strategici”.

Le valutazioni dei CIO: costi e competenze

In definitiva, l’OS deve essere innanzitutto in linea con le esigenze aziendali: obiettivi strategici, budget e competenze interne.

I Chief Information Officer delle imprese private medio-grandi, in genere, si rivolgono al software proprietario di fornitori consolidati e anche quelli di alcune società quotate affermano di preferire questa soluzione. Il software proprietario è la prima scelta anche quando si tratta di dotarsi di sistemi enterprise complessi, come gli ERP (Enterprise Resource Planning), oppure quando si cercano piattaforme con una forte specializzazione verticale.

Sui costi, l’esperienza di alcuni CIO si concretizza in un rapido calcolo: se, acquistato un prodotto, ci si rende conto che servono ulteriori interventi, personalizzazione e assistenza da parte del fornitore, e questi superano il 15% del costo totale annuale del pacchetto, probabilmente l’open source sarebbe stato più conveniente. 

Non da ultimo, il Chief Information Officer dovrà scegliere anche in base alle risorse di cui dispone nel team: l’open source ha bisogno di competenze specifiche.

La questione di come accelerare la conversione e il reskill delle risorse IT resta particolarmente importante anche per Rizzotto di IDC, “sia in generale che in particolare rispetto ai temi delle nuove architetture” da cui dipendono i complessi processi di modernizzazione delle applicazioni e l’intero cloud journey delle imprese.

Patrizia Licata
Di Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Giornalista professionista e scrittrice. Dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare come freelance sui temi dell’innovazione e dell'economia digitale. Scrivo anche di automobili, energia, risorse umane e lifestyle. Da una ventina d’anni collaboro con le principali testate italiane su carta e web.

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