L’intelligenza artificiale ci ruberà il lavoro. È una bolla. Costa troppo. Oppure no: viviamo nell’era dell’IA democratica. Trasformerà le imprese positivamente. No, prenderà le decisioni al posto nostro e assumerà il controllo. In questo moltiplicarsi di conversazioni sull’IA abbiamo chiesto a tre CIO e ad un’esperta una bussola per navigare tra le informazioni non sempre accurate che circondano i sistemi di intelligenza artificiale e quali sono le sue reali potenzialità di business. Credito: Getty Images L’intelligenza artificiale è senza dubbio una delle tecnologie più discusse nell’anno della diffusione di ChatGPT [in inglese] e della definizione dell’AI Act [in inglese] da parte dell’Unione europea. Il ruolo del CIO, ancora una volta, si rivela strategico, perché ha il compito di guidare le funzioni di business a scremare tra le informazioni, non sempre accurate, che circondano questa tecnologia e a capire come e perché implementare l’intelligenza artificiale nella propria organizzazione. “L’IA è una chance per le aziende”, dichiara Giuseppe Frison, ICT Manager di Carel Group, azienda internazionale nel settore della refrigerazione, del condizionamento e del riscaldamento, con più siti produttivi-commerciali nei vari continenti. Implementarla vuol dire acquisire una posizione di vantaggio competitivo; non dobbiamo temerla, ma imparare ad usarla. “Se un sistema IA impara partendo da informazioni sbagliate produce un output inaffidabile. Non ha alcuna forma di coscienza: semplicemente, si basa sul numero di spiegazioni che gli vengono fornite”, afferma Alessandro Di Maio, CIO di Farvima Medicinali. 1. L’IA ci ruberà il lavoro Per Giovanni Sannino, Head of Operation IT & Services di Sirti Digital Solutions, l’azienda del Gruppo specializzato nelle infrastrutture telco che si occupa della system integration e della trasformazione digitale, questo è vero solo in parte. “L’IA potrà forse assumere i compiti in alcuni ruoli passibili di forte automazione, ma farà nascere nuove professioni e darà impulso a nuovi business che neanche immaginiamo. L’intelligenza artificiale è assimilabile a ogni grande rivoluzione industriale e tecnologica: qualcosa si perde, ma le opportunità sono grandi”, afferma Sannino. “Non possiamo pensare che, siccome l’IA è in grado di verificare l’esito di una Tac, non servirà più il medico. Il software ha una capacità maggiore di individuare velocemente i tanti elementi della scansione, ma l’analisi e il giudizio finale saranno sempre affidati allo specialista in carne ed ossa”. “Certamente l’avvento delle tecnologie di IA avrà un effetto dirompente sul mercato del lavoro. Alcuni mestieri non avranno più ragione di esistere, ma altri ne nasceranno”, conferma Francesca Lisi, professoressa associata di Informatica all’Università di Bari Aldo Moro e membro del direttivo dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA). Non sarà una trasformazione indolore, anche perché avverrà velocemente. Quello che dovremmo cercare di fare è “anticipare il bisogno di nuove professionalità con adeguati percorsi formativi”. 2. IA equivale ad automazione No, l’intelligenza artificiale non fa le cose in automatico ed è anche per questo che avrà sempre bisogno degli specialisti umani. “L’IA richiede una serie di informazioni organizzate e un lavoro degli addetti che può essere anche intensivo”, osserva ancora Di Maio. “Man mano che diventa più accurata, potrà rispondere a più domande o a domande più complesse. Ma occorre un lavoro preventivo per strutturarla: potrebbe aver bisogno di un gran numero di persone che vi lavorano”. A regime, il sistema ben addestrato potrebbe, per così dire, andare avanti da solo. Ma, per monitorarlo, ci vorranno sempre delle attività umane. 3. L’IA assumerà il controllo Il sistema IA in azienda deve essere gestito dai team IT affinché lavori per gli obiettivi di business. Spiega Di Maio: “Anche se un’azienda dispone in-house di una rete neurale con molte funzionalità, bisogna comunque addestrarla a fare ciò che serve a noi, ovvero a restituire risultati utili. In Farvima, per esempio, stiamo integrando un chatbot IA e lo stiamo addestrando, sia confermando ‘giusto’ o ‘sbagliato’ a quello che fa, sia correggendogli alcune risposte. L’intelligenza artificiale va allenata ad elaborare con successo un certo concetto e va monitorata di volta in volta, affinché migliori nella capacità di dare le risposte di cui abbiamo bisogno”. D’altra parte, ci sono alcuni rischi connessi all’affidarsi eccessivamente a questa tecnologia: “Se smetteremo di ragionare da soli delegando ogni lavoro possibile alle IA, o almeno a quelle facenti parte dei progetti più ambiziosi, come ChatGPT, allora rischieremo di perdere le nostre capacità creative”, secondo Di Maio. 4. L’IA prenderà le decisioni al posto nostro “L’IA e le sue varie anime (generativa, adattiva e il machine learning, per citare le più note) consentiranno di avere maggiore accuratezza dei dati e dei possibili scenari “what if” e questo si tradurrà in un aiuto concreto nelle varie decisioni che si possono prendere. Ma l’intelligenza artificiale non decide al posto nostro”, afferma Frison di Carel. Per essere reattiva di fronte ai cambiamenti, sia interni che esterni, Carel usa sistemi di IA a supporto delle decisioni. Spiega Frison: “Analizzando ed estraendo ‘conoscenza’ da volumi enormi di dati in modo veloce otteniamo un vantaggio competitivo”. Carel sta sviluppando l’IA partendo con la costruzione di data lake e proseguendo nelle funzionalità di analytics dove l’intelligenza artificiale trova terreno fertile e produce impatti in tutte le aree aziendali. “L’IA ci potrà segnalare un eventuale problema se le condizioni continuano ad essere le medesime”, riferisce Frison; “potrà intervenire, se lo riterremmo opportuno, con un perimetro di variabili consentite, facendo la scelta più idonea e, soprattutto, con tempi molto più veloci. Potrà fare molto di più nella simulazione e nella gestione di variabili che cambiano nel tempo. Ma, dietro a tutto questo, c’è comunque la persona che detiene le regole e le modalità di intervento”. 5. L’IA ha un alto rischio di bias “L’IA non è un sistema cognitivo”, sottolinea Di Maio. “Non possiede il senso critico necessario per scartare dati non veri e farsi un’opinione, per così dire, ‘personale’. Se i dati con la versione corretta di un fatto sono più numerosi di quelli con la versione errata, allora prevarrà il presentarsi di output corretti; in caso contrario prevarranno gli output sbagliati. Il bias dei sistemi di intelligenza artificiale dipende da come li addestriamo o dall’imperfezione di una tecnologia creata dall’uomo, non dal fatto che l’IA possegga un’eventuale personalità malevola”. La professoressa Lisi chiarisce: “Molte tecniche di IA si basano sui dati (non tutte). Quelle dipendenti fortemente dai dati, o data-driven, come, per esempio, il deep learning, soffrono di alcune criticità e, tra queste, c’è il bias, ovvero la presenza di stereotipi e pregiudizi nei dati forniti agli algoritmi per il loro addestramento e che possono alimentare discriminazioni laddove tali algoritmi siano adoperati in contesti decisionali”. Inoltre, al fine di arginare il rischio di bias, è importante che i team di sviluppo siano inclusivi: “Il requisito di non discriminazione algoritmica sottintende anche i requisiti di diversità nella composizione dei team di esperti che lavorano sull’intelligenza artificiale”, evidenzia Lisi. “È, infatti, il modo in cui gli umani progettano, realizzano ed applicano l’IA a renderla potenzialmente discriminatoria”. 6. L’IA è alla portata di tutti L’intelligenza artificiale generativa “apre nuovi orizzonti ed è indubbio il suo potere trasformativo sul mercato del lavoro e sulla società in diversi ambiti. È, tuttavia, difficile stabilire quanto democratica sarà questa trasformazione”, osserva la professoressa Lisi. Quello su cui i CIO, invece, non hanno dubbi è che i sistemi di IA aziendali richiedono una strategia sia a livello della C-Suite che di sviluppo tecnologico. “Non si può prendere un prodotto e inserire l’IA. L’intelligenza artificiale deve far parte della progettazione fin dall’inizio”, prosegue Frison. “Poi serve affiancare un sistema di controllo e prevedere sempre la possibilità dell’uomo di intervenire”. Inoltre, ma non meno importante, la strategia IA “contiene un forte elemento di cambiamento dell’organizzazione aziendale. L’intelligenza artificiale può rendere la tecnologia più semplice da usare per tutte le figure in azienda, ma richiede di diffondere una solida cultura digitale”. Verso il futuro Servono, ovviamente, competenze specifiche e il CIO potrà valutare se usare consulenti esterni per portare velocemente know how all’interno. Il CIO stesso deve riorganizzarsi mentalmente, prosegue Frison: “Nell’intelligenza artificiale non bisogna aver paura di sperimentare per comprendere di che cosa si ha bisogno. Per esempio, per capire quali dati e quali analytics servono, o se è più efficace un prodotto standardizzato o personalizzato. Solo la sperimentazione aiuta a individuare la strada giusta e solo gli obiettivi di business indicano qual è la direzione da seguire”. Le frontiere che si aprono potrebbero essere entusiasmanti: “Io guardo con fiducia all’implementazione dell’intelligenza artificiale”, afferma Sannino di Sirti Digital Solutions. “Anzi, sono convinto che ci sarà una continua miniaturizzazione dei chip che porterà benefici anche alle SAN (Storage Area Network), permettendo di avere una potenza di calcolo straordinaria all’interno del data lake e di creare applicazioni di IA che porteremo direttamente sui dispositivi locali”. 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