Secondo indiscrezioni di stampa, il governo italiano lavora a uno strumento di corporate venture capital che dovrebbe veicolare 600 milioni di euro a favore delle piccole e medie imprese innovative. Per gli esperti di settore il sostegno pubblico all’innovazione è sempre una notizia positiva, tanto più che uno degli obiettivi è stimolare le implementazioni nella pubblica amministrazione. Ma la direzione potrebbe non essere quella più utile a colmare il gap. Credito: Shutterstock Sull’intelligenza artificiale si gioca una bella quota di competitività delle economie: l’IA è una delle tecnologie strategiche su cui i governi puntellano la crescita futura dei loro Paesi (se ne è parlato anche in questi giorni al G20). I finanziamenti pubblici hanno un ruolo importante, tanto che il governo italiano, secondo indiscrezioni pubblicate dal Il Sole 24 Ore, starebbe lavorando alla costituzione di un fondo di corporate venture capital che veicoli complessivamente 600 milioni per stimolare startup e piccole e medie imprese innovative a sviluppare soluzioni basate sull’intelligenza artificiale “Made in Italy” e favorirne l’adozione anche nella pubblica amministrazione. Il fondo dovrebbe essere gestito da CDP Venture Capital Sgr, titolare del Fondo nazionale innovazione, con il supporto di un comitato investimenti e di un advisory board. Secondo le indiscrezioni, il Dipartimento per la trasformazione digitale dovrebbe contribuire con 45 milioni di euro, mentre altri 40 milioni arriverebbero dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale(ACN). Ulteriori 115 milioni dovrebbero essere raccolti da aziende di settore e istituzioni come la stessa CDP (Cassa depositi e prestiti). Questa base dovrebbe, a sua volta, stimolare gli investimenti privati, raggiungendo il target di 600 milioni. Il Dipartimento per la trasformazione digitale non rilascia, per ora, commenti; di ufficiale restano le dichiarazioni dello scorso maggio del Sottosegretario con delega all’innovazione tecnologica, Alessio Butti, che, intervistato da Class Cnbc in occasione dell’Artificial Intelligence Day, ha annunciato l’intenzione del governo di dar vita a un fondo finalizzato allo studio, alla ricerca e alla programmazione nel campo dell’IA. Le applicazioni per il sistema Paese “Valuto questo progetto del Dipartimento della Presidenza del Consiglio per la digitalizzazione un ottimo primo passo per colmare il ritardo rispetto agli altri Paesi europei, che stanno investendo molto in questo settore”, afferma Marco Gay, Presidente Anitec-Assinform e Presidente esecutivo di Digital Magics, che ha lanciato un programma di accelerazione per le startup dell’IA. “Noi di Digital Magics crediamo nelle potenzialità dell’IA e nel suo sviluppo: ovunque ci sia una massa di dati da analizzare, è un validissimo partner”. Tante le applicazioni a beneficio della PA, evidenzia Gay: “Pensiamo, per esempio, aa come, nell’ambito della Sanità, l’Intelligenza artificiale possa gestire le informazioni statistiche su sintomi e relative patologie nella popolazione, in modo da ottimizzare le risorse pubbliche e migliorare i servizi. Ancora, nei trasporti può elaborare i dati sui flussi di traffico nei diversi territori per aumentare la soddisfazione degli utenti, inoltre può velocizzare i processi per consegnare qualsiasi documento o certificazione al cittadino o all’azienda”. Di quale IA ha bisogno l’Italia A fine 2021 l’Italia ha adottato il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (IA) 2022-2024, frutto del lavoro congiunto del ministero dell’Università e della Ricerca, del ministero dello Sviluppo Economico e del ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, e grazie al supporto del gruppo di lavoro sulla Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale. In linea con la Strategia europea, il Programma delinea ventiquattro politiche da implementare in 3 anni per potenziare il sistema IA in Italia, attraverso creazione e potenziamento di competenze, ricerca, programmi di sviluppo e applicazioni. Secondo Carlo Cigna, CIO e Direttore del Dipartimento AIgo Intelligence di eVISO, questa è la direzione corretta: puntare su ricerca e talenti. Il fondo che sarebbe ora allo studio sembra, invece, concentrarsi sull’obiettivo di investire in startup e società innovative, quindi – presumibilmente – in invenzioni potenzialmente rivoluzionarie, e Cigna ritiene questo percorso meno convincente. “Per migliorare veramente la posizione competitiva dell’Italia sull’IA, secondo me, è più proficuo puntare sulla ricerca e sull’integrazione di prodotti esistenti, soprattutto se il focus è la PA: è un modo efficiente di avanzare in termini di digitalizzazione, automazione, analisi dei dati, snellimento burocratico e miglioramento della customer experience”, indica Cigna. Il manager evidenzia, infine, che l’IA non è solo ChatGPT – ovvero grandi modelli estremamente avanzati e costosi – ma, nella maggior parte delle applicazioni, coincide con l’automazione dei processi e l’analisi avanzata di grandi moli di dati: “Questi prodotti sarebbero molto utili alla PA, oltre che alle imprese”, evidenzia Cigna. “Finanziare il sogno di una startup italiana dell’IA che diventa unicorno mi sembra meno efficace. Puntare su formazione, ricerca e IA come integrazione con processi già esistenti è per me una strategia più in linea con le reali esigenze del Paese”. Quanti soldi servono? “Le applicazioni dell’IA sono molteplici e molte ancora da scoprire”, è il commento di Edoardo Vallebella, CEO di Stip, startup italiana dell’Intelligenza artificiale applicata alla customer care. “È possibile, per esempio, ottimizzare alcuni processi ancora gestiti manualmente, spesso potenzialmente semplici da automatizzare attraverso l’impiego dell’intelligenza artificiale. Questa ottimizzazione si rivela di particolare importanza soprattutto nel settore pubblico”. In questo contesto, “i sussidi del governo sono non solo utili, ma essenziali”, prosegue Vallebella. “Lo dimostra il caso della Francia, dove un considerevole investimento di capitali pubblici ha accelerato di molto lo sviluppo dell’ecosistema”. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato lo scorso giugno, al salone dell’innovazione tecnologica Viva Technology, un totale di circa 1,1 miliardi di euro per l’intelligenza artificiale così suddivisi: 500 milioni per creare da cinque a dieci cluster dell’IA, 40 milioni per attrarre investimenti nel campo dell’IA generativa e due sovvenzioni pubbliche di 50 milioni e 500 milioni di euro ciascuna destinate ad accelerare la capacità dei supercomputer francesi ed europei. Le cifre previste dal nostro governo rispondono alle necessità della ricerca e sviluppo in Italia? Sì e no. “Sono adeguate a sostenere il nostro ecosistema, ma potrebbero non essere sufficienti per competere a livello internazionale, nemmeno all’interno dell’Europa”, secondo Vallebella. “Sebbene ci siano capitali privati disponibili, spesso seguono ancora standard e termini di investimento tipicamente italiani (pur con eccezioni). Agevolare gli investimenti privati potrebbe essere un’altra interessante area di intervento”. L’IA non è fantascienza, è digitalizzazione La visione condivisa degli esperti è che, per le imprese come per la Pubblica amministrazione, l’IA non sia più un’opzione, ma una tecnologia che porta enorme valore aggiunto e fa parte integrante della digitalizzazione. “L’IA non coincide necessariamente con qualcosa di disruptive”, osserva Cigna: “è una tecnologia che usiamo da anni in applicazioni comuni, come il riconoscimento biometrico sui nostri smartphone. L’IA che può far avanzare il sistema Paese è soprattutto quella che rappresenta un’evoluzione naturale dell’automazione e della digitalizzazione e che richiede soprattutto ricerca e alte competenze”. “Dobbiamo tutti fare i conti con questo campo dell’informatica che punta a emulare le capacità cognitive umane e le cui applicazioni già oggi riguardano quasi ogni settore della nostra vita quotidiana e professionale”, osserva Vincenzo Pensa, Direttore Sistemi informativi e innovazione di ACI, la Federazione nazionale che associa gli Automobile Club provinciali e locali italiani. “Anche la PA deve necessariamente mettersi nelle migliori condizioni sia per coglierne gli aspetti positivi, che sono tanti e che certamente consentiranno di migliorare servizi e funzioni pubbliche, sia per proteggere sé stessa e i cittadini da altrettanti potenziali rischi che questa tecnologia crea”. Le sfide e il valore l’intelligenza “emotiva” L’implementazione nella PA, tuttavia, potrebbe incontrare degli ostacoli, nota Vallebella: “I lunghi tempi necessari per l’adozione di nuove tecnologie spesso fanno sì che un progetto risulti obsoleto già al momento del suo avvio, perché il processo di acquisto all’interno della pubblica amministrazione è in genere lento e complesso mentre le nuove tecnologie continuano a progredire velocemente”. Anche Pensa sottolinea l’aspetto cruciale della velocità dell’intervento del decisore politico: “Temo che, come spesso è accaduto in passato, la normazione sarà sempre un passo indietro all’innovazione. Ciò non significa che si debba rinunciare a regolamentare, ma che occorre farlo con buon senso e lungimiranza”. Ovviamente, qui si sconfina nel complesso dibattito sulla sicurezza e l’etica che sempre accompagna lo sviluppo e l’adozione dell’IA e che tocca soprattutto le implementazioni negli enti pubblici. Gay chiarisce: “L’impatto sociale ed economico delle applicazioni dell’IA è enorme, con un miglioramento della qualità della vita del singolo e un aumento della produttività delle imprese. I rischi eventuali che molti paventano devono essere evitati grazie all’intelligenza emotiva di noi umani: siamo noi che inseriamo i dati e siamo noi che dobbiamo monitorare le risposte che ne risultano, le regole le stabiliamo noi”. 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