Il CIO come facilitatore: costruire un ecosistema di partner per l’innovazione

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22 Nov 20239 minuti
Allineamento IT aziendaleTecnologia emergenteInnovazione

Alla luce della complessità e del ritmo elevato con il quale i progressi tecnici si susseguono, i CIO moderni devono guardare oltre la loro impresa e sviluppare una serie di partnership volte a creare soluzioni che risolvano le grandi problematiche aziendali.

Il dibattito sul futuro del ruolo del CIO è molto acceso [in inglese], ma una cosa è certa: i leader digitali che vogliono avere successo devono guardare oltre il muro e collegarsi a un ecosistema di fornitori partner, startup e altre imprese per garantire la prosperità dell’azienda.

La ragione di questo cambiamento è semplice: sebbene i CIO possano, spesso, fare affidamento su talentuosi team di professionisti IT interni, non ci si può aspettare che un reparto tecnologico generi, da solo, tutte le innovazioni necessarie per competere in un’era digitale in così rapida evoluzione. Molti manager stanno già superando la sindrome del “non inventato qui” per abbracciare una serie di partnership volte a trasformare l’IT in un fattore di innovazione aziendale.

Secondo Keith Woolley, Chief Digital Information Officer dell’Università di Bristol, il punto di partenza per chi vuole compiere questo cambiamento è una solida conoscenza delle capacità dell’azienda, e una profonda comprensione di ciò che essa ha bisogno di ottenere, e questo richiede di andare oltre i confini dell’IT.

“Se non capisci il business, la finanza, le risorse umane e le revisioni contabili, allora non diventare un CIO, perché il mio lavoro riguarda tutte queste cose”, afferma. “Direi che in questo momento sono l’ultimo dei tecnologi. Le conversazioni che ho con i dirigenti non riguardano la tecnologia, ma il modo in cui daremo potere alle persone”.

Che si tratti di come vengono utilizzati i dati nel processo di ricerca, o di come la digitalizzazione cambierà il ruolo delle università, Woolley ascolta a fondo le conversazioni aziendali nel tentativo di aiutare a trovare risposte alle grandi domande. “Essere un facilitatore di questo tipo è molto diverso dall’essere qualcuno che pensa solo ai sistemi tecnologici da utilizzare per fornire un desktop”, sottolinea.

La buona notizia, rivela Bev White, CEO di Nash Squared, società specializzata in recruitment, è che il resto dell’impresa è sempre più consapevole dei vantaggi che un CIO efficace può offrire. Il Digital Leadership Report recentemente pubblicato dalla sua azienda mostra che più di due terzi (69%) dei leader tecnologici globali sono membri del consiglio di amministrazione o del team di gestione esecutivo.

Il potere della partnership

Sasha Jory, CIO della compagnia assicurativa Hastings Direct, concorda sul fatto che le partnership efficaci sono fondamentali per il lavoro che svolge il suo team IT. “Intendo qualcosa di diverso dai rapporti con i fornitori”, tiene a precisare. “Ci concentriamo sulla creazione di relazioni profonde e di collaborazione. Per esempio, con Snowflake, Microsoft, EY e Guidewire”.

Queste aziende sono i principali vendor di tecnologia e integratori di sistemi di Hastings, e l’organizzazione IT si allinea con loro per garantire un utilizzo efficace delle infrastrutture e delle soluzione. Soprattutto, Jory dice al suo team che è bene chiedere aiuto. E, così, ci si rivolge a questi partner per ottenere supporto, ma ci si aspetta che anche loro mettano in discussione le idee e i preconcetti del team IT.

“Nessuno sa tutto”, dice. “Con il ritmo con cui si muove la tecnologia, siamo consapevoli che come azienda relativamente piccola (siamo solo 4.000 persone) non saremo mai in grado di coprire tutto o di avere le competenze per farlo. Quindi, collaborare e avere una relazione stretta in cui si ascolta, si impara e si capisce è fondamentale per il successo”.

Questo è un sentimento che risuona fortemente anche nelle parole di Jarrod Phipps, CIO di Holman, società specializzata nei servizi per l’automotive, secondo il quale i CIO intelligenti si concentrano sullo sviluppo di esperienze front-end eccellenti. Afferma che questa tendenza è destinata a crescere nel prossimo decennio, quindi consiglia alla prossima generazione di leader IT di dare priorità all’ampliamento del proprio ecosistema di potenziali partner.

“Uscite dal vostro ufficio”, dice. “Andate a parlare con i clienti, con i dipendenti, con i vostri colleghi, con i leader al di fuori della vostra azienda: uscite e parlate con le persone. Uscite dalla vostra zona di comfort e accettate il fatto di non sapere tutto, e va bene così. Costruite una visione a tutto tondo e imparate dagli errori e dai successi degli altri”.

Secondo White di Nash Squared, una fonte cruciale di informazioni per questi esercizi di costruzione della conoscenza saranno le startup. Anche se queste aziende nascenti non hanno le dimensioni delle loro controparti aziendali, i leader digitali possono imparare moltissimo dalle imprese più piccole.

“La tecnologia, in questo momento, è un luogo eccitante”, prosegue White. “Scoprire che le piccole imprese hanno idee incredibili che si possono portare nella propria azienda e dare vita a nuovi servizi è fantastico. Si può lavorare con una rete di queste realtà per ottenere un risultato incredibile”.

Abbracciare l’avanguardia

Questo è certamente il caso di PepsiCo: il colosso delle bevande collabora con più di 30 startup in oltre 200 Paesi, per ottenere grandi risultati in settori importanti, come la sostenibilità.

Basti pensare alla partnership con l’azienda tecnologica WINT, che utilizza l’intelligenza artificiale per prevenire le perdite d’acqua nei suoi stabilimenti. Secondo le stime, il sistema può ridurre il consumo annuale di acqua fino al 25%. In Turchia, PepsiCo, Pulse Industrial e BrenPower stanno collaborando per monitorare e rilevare i guasti alle valvole automatiche che filtrano la condensa negli stabilimenti attraverso un sistema di IA.

Inoltre, PepsiCo sta collaborando con UBQ Materials per trasformare i rifiuti domestici non differenziati in una termoplastica a base biologica utilizzata per gli espositori dei prodotti. In un’epoca di cambiamenti quasi continui, Nigel Richardson, SVP e CIO Europe del Gruppo, sostiene che le grandi aziende come la sua hanno molto da imparare da un ampio ecosistema di partner.

“Gli ultimi anni hanno dimostrato che fare tesoro del passato non è più un buon modo per predire il futuro”, osserva. “In questo momento, il nostro settore e il nostro ambiente operativo stanno cambiando rapidamente e le tecnologie che una volta erano il regno della fantascienza stanno diventando realtà, rimodellando tutto ciò che riguarda il nostro modo di vivere e lavorare”.

La risposta di PepsiCo nell’ultimo biennio, dice Richardson, è stata quella di affrontare queste realtà a testa alta, utilizzando i propri marchi e le proprie dimensioni come forza per il benessere e la crescita. “Ci spingiamo costantemente a guardare all’esterno, ad altre aziende, fornitori, settori e a tutto ciò che si spinge verso l’avanguardia, per trarre ispirazione e vedere che cosa possiamo imparare e applicare”, precisa.

Una storia simile è quella di Audi: il gruppo automobilistico ha dato vita a un Production Lab per trovare innovazioni che possano contribuire ad aumentare l’efficienza e la qualità nei suoi stabilimenti. Il laboratorio, creato nel 2012, verifica se le tecnologie non ancora utilizzate nei processi produttivi hanno il potenziale per essere adottate su larga scala.

“Il nostro ruolo è cercare di capire quali sono le tecnologie disponibili”, afferma Henning Löser, responsabile dell’Audi Production Lab. “Stiamo passando dai motori a combustione interna a quelli elettrici a batteria. Questo passaggio è impegnativo perché ci sono nuove tecnologie in arrivo per produrre i veicoli a propulsione elettrica , ma è anche una grande opportunità, perché stiamo cambiando le nostre linee di produzione”.

Löser dichiara che l’obiettivo è utilizzare una piattaforma cloud hyperconverged di VMware per testare le tecnologie, come le cuffie per la realtà virtuale e i sistemi di produzione su larga scala, in condizioni di laboratorio. “Noi siamo i nerd”, dice. “Abbiamo la possibilità di giocare con le nuove tecnologie e, così facendo, capiamo cosa è utile”.

All’Università di Bristol, Woolley dice che anche la sua istituzione dedica risorse significative all’innovazione. La collaborazione con le startup non si limita all’apporto di competenze esterne. L’università contribuisce a coltivare i talenti anche attraverso l’Engine Shed, un centro specializzato che ha sede nel cuore di Bristol nato dalla collaborazione tra l’Università stessa e l’amministrazione della città Bristol nel 2013. Ospita una sala per i soci, cinque sale riunioni, quattro spazi per eventi, tre spazi di coworking e 18 uffici, e ogni anno più di 30.000 persone lo utilizzano per connettersi, collaborare e innovare. Woolley spiega che l’obiettivo dell’iniziativa è quello di creare occasioni per mettere le persone in connessione tra loro.

“È il luogo in cui sosteniamo i nostri spinout”, spiega, aggiungendo che l’iniziativa aspira a essere un “incubatore di incubatori”.

“Siamo costantemente alla ricerca di innovazioni, e pensiamo a come aiutare gli altri a creare prodotti e a portarli sul mercato. Sono sinceramente orgoglioso del fatto che facciamo la differenza”, afferma.

Woolley incoraggia gli altri CIO a pensare ai modi per promuovere una rete di innovazione: “Se non si capisce dove stanno andando i mercati, come si può essere sicuri che si stiano implementando le tecnologie giuste per consentire il cambiamento richiesto dall’azienda?”.

In qualità di membro del comitato esecutivo dell’Università, Woolley lavora con i suoi colleghi del C-level per studiare come le tecnologie possano aiutare l’istituzione a raggiungere i propri obiettivi e a offrire esperienze migliori a docenti e studenti. Secondo il manager, questo focus strettamente incentrato sulla leadership aziendale è ciò che definisce un CIO un facilitatore di successo.

“La parte di leadership IT è il lavoro quotidiano che dirigo e supporto”, spiega. “Ma come dirigente di alto livello, devo capire come la tecnologia si inserisce nella più ampia strategia organizzativa. E credo che i Chief Information Officer che non diventano dei facilitatori del business diventeranno molto presto dei dinosauri”.

Mark is a business writer and editor, with extensive experience of the way technology is used and adopted by blue-chip organizations. His experience has been gained through senior editorships, investigative journalism, and postgraduate research. Having formerly been an editor at Computing, Computing Business, and CIO Connect, Mark became a full-time freelance writer in 2014. He has developed a strong portfolio of editorial clients, including The Guardian, Economist Intelligence Unit, ZDNET, Computer Weekly, ITPro, Diginomica, VentureBeat, and engineering.com. Mark has a PhD from the University of Sheffield, and a master’s and an undergraduate degree in geography from the University of Birmingham.

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