Sì, perché esistono librerie software con prodotti semi-pronti, Api e soluzioni open-source. Finora le Pmi italiane hanno impiegato in modo sporadico l’intelligenza artificiale, ma ChatGpt sta moltiplicando l’interesse, le tecnologie sono mature e la modalità Ai as-a-service dà accesso a prodotti “chiavi in mano”. Per procedere non bisogna perdere, però, di vista i propri obiettivi di business Credito: Getty L’intelligenza artificiale è solo per le grandi imprese? Non necessariamente. Certo, la creazione di un software di IA generativa come ChatGpt è possibile solo per colossi ben dotati di risorse, computazionali e finanziarie (lo sviluppatore OpenAi, infatti, è sostenuto dai finanziamenti di Microsoft, un totale di 11 miliardi di dollari). Ma anche le imprese più piccole possono attingere a strumenti che permettono di sviluppare modelli in-house funzionali al proprio business. Un’azienda come eViso, specializzata nella fornitura di energia elettrica e gas, ha creato fin dal 2013 (anno successivo alla sua fondazione) modelli di AI per svolgere “previsioni in tempo reale, esecuzione autonoma e ottimizzazione dei prezzi sui mercati energetici”, come racconta Carlo Cigna, CIO e Direttore del Dipartimento Algo Intelligence di eVISO. “L’utilizzo di questa tecnologia ci ha aiutato a crescere rapidamente valorizzando la raccolta e il processamento dei dati fondamentali di settore, come consumi e prezzi”. Su questi ora poggia il modello operativo dell’azienda. “L’esperienza maturata sulla cultura del dato ci dà un vantaggio competitivo”, afferma Cigna. Pmi e Ai, si può fare ma non improvvisare Per sviluppare modelli IA in casa non è necessario partire da zero. I dipartimenti IT lo sanno bene: i programmatori non scrivono il codice di un’applicazione interamente dall’inizio, ma assembrano parti di codice preesistente, collegandosi a un’interfaccia software (Api, Application programming interface). Per questo, il mondo dello sviluppo software ha abbracciato con entusiasmo l’innovazione introdotta da ChatGpt: questo sistema – basato su Ai e Machine learning, o apprendimento automatico – accelera la produttività degli sviluppatori fungendo da eccezionale motore di ricerca tra le librerie di codice già esistenti. A sua volta, il modello dietro ChatGpt – Gpt di OpenAi – ha le sue Api che le aziende possono usare per l’attività di sviluppo. È un servizio a pagamento, ma accessibile (al momento c’è una lista d’attesa). Esistono, inoltre, altri modelli di Machine learning pronti o semi-pronti, alcuni disponibili come open-source. Queste librerie online rendono possibile anche per le Pmi costruire modelli IA in-house. Le imprese italiane nell’era di ChatGpt Al momento, questa corsa all’intelligenza artificiale in Italia non c’è. Secondo i dati Istat del 2021, riportati da Rome Business School nel suo recente studio “Digitalizzazione, Big data e Ai in Italia. Etica digitale e uso dei dati”, l’impiego dell’IA è scarsamente diffusa nelle nostre imprese: solo il 6,2% dichiarava di utilizzarla, contro una media dell’8% nell’Unione europea. Nelle Pmi la quota scende al 5% (è il 25% nelle imprese più grandi). Nel frattempo, però, sono passati due anni e ChatGpt ha fatto toccare con mano le capacità dell’intelligenza artificiale persino al grande pubblico. Parlare di IA può sembrare un discorso ozioso quando consideriamo che l’Italia conta circa 4,3 milioni di Pmi, di cui il 95% sono microimprese che rappresentano l’80% dei posti di lavoro e il 70% del valore aggiunto del Paese, nonché il 53% delle nostre esportazioni (dati della Commissione europea). È da qui che si può partire per misurare il ruolo della digitalizzazione e, al suo interno, della tecnologia dell’intelligenza artificiale, che non vuol dire prodotti da fantascienza ma soluzioni concrete, come la manutenzione predittiva e le analisi a supporto delle decisioni. Secondo l’Istat, il 60,3% delle Pmi in Italia ha raggiunto, nel 2021, almeno un livello base di intensità digitale (superiore alla media Ue-27 del 56%). Nel 2023 possiamo supporre che le piccole imprese “pronte” per l’IA siano ancora di più. L’utilità dei modelli “fatti in casa” Per iniziare servono le competenze, i dataset e l’infrastruttura digitale. “Si tratta di un contesto in cui non si può lasciare spazio all’improvvisazione”, sottolinea Cigna. Anche qui, le tecnologie sul mercato possono venire in aiuto delle piccole imprese. “Le Pmi oggi hanno a disposizione un numero crescente di strumenti che consentono di valorizzare le informazioni in loro possesso, come quelle relative ai processi con cui gestiscono l’attività quotidiana, dal rapporto con i fornitori alla commercializzazione del prodotto finale”, afferma Roberto Saracco, coordinatore del Gruppo di lavoro “Intelligenza Artificiale” di Anitec-Assinform (Associazione Italiana per l’Information and communication technology), aderente a Confindustria e socio fondatore della Federazione Confindustria Digitale. Sui dati, prosegue Saracco, “si innestano i prodotti di Ingest Ai, che permettono di trasferire le informazioni presenti in azienda in un data model che può essere usato dall’intelligenza artificiale”. Ovviamente, questo modello di dati che le Pmi si costruiscono da sole è molto più ristretto dei modelli linguistici di grande dimensione (Llm, Large language model) forniti da aziende del calibro di Microsoft o Google. Ma “i modelli più piccoli realizzati dalle Pmi possono affiancare quelli più grandi per renderli specializzati sulle loro esigenze di business”, evidenzia Saracco. Un esempio è il chatbot per il Customer care: il modello del grande provider fornisce la potenza del dialogo in linguaggio naturale su cui il modello sviluppato in-house dalla Pmi inserisce le informazioni proprietarie. In questo modo, il customer care diventa più efficace, perché il modello “fatto in casa” è costruito non su dati generici, bensì su quelli dello specifico prodotto e del profilo di cliente della Pmi. Costi più accessibili con l’AIaaS C’è anche la strada dell’Ai as-a-service o AIaaS, con cui l’intelligenza artificiale viene fornita all’interno di piattaforme e servizi cloud, tipicamente dai grandi provider. L’AIaaS è un mercato che, secondo le previsioni di Markets&Markets, crescerà globalmente a un tasso annuale composito (Cagr) del 42,6% dal 2023 al 2028, salendo da un valore di 9,3 miliardi di dollari entro la fine di quest’anno a 55 miliardi nel 2028 (in termini di fatturato per i fornitori). Sono proprio le piccole e medie imprese ad alimentare la domanda, visto che l’AIaaS abbassa le barriere di ingresso ad applicazioni come l’elaborazione del linguaggio naturale (Nlp, Natural language processing) e l’analisi predittiva. Il mercato è guidato dalla domanda di soluzioni Ai convenienti e scalabili, che possano essere facilmente integrate nei flussi di lavoro esistenti, aiutando ad automatizzare attività ripetitive, come l’assistenza ai clienti o l’immissione e l’analisi dei dati. Come muoversi tra le promesse dell’Ai Se costruire modelli in-house è possibile anche per le piccole imprese, resta necessario inserire queste iniziative in una strategia più ampia che non è priva di costi. Nell’esperienza di Cigna, “Servono un’infrastruttura digitale adeguata, parametri e indicatori in grado di misurare gli impatti dell’IA, e un controllo sul sistema digitale automatico o semiautomatico che si implementa. Inoltre, come ogni strumento potente, occorre usarlo in modo etico e consapevole”. eViso, per esempio, si è dotata di “robusti sistemi di cybersecurity e compliance al Gdpr” e ciò implica “un’attenta pianificazione che necessita di un budget non trascurabile”. Naturalmente, servono anche le competenze, ma – elemento ancora più importante – bisogna saper scegliere la soluzione in linea col proprio core business che sia funzionale al perseguimento degli obiettivi aziendali, conclude Cigna. Meglio evitare, invece, la ricerca spasmodica dell’ultimo algoritmo di tendenza: “Può diventare costoso in termini di tempo e aspettative disilluse”. 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