L’ultimo Bollettino Excelsior di Unioncamere evidenzia un aumento delle assunzioni programmate in Italia, ma anche una maggiore difficoltà di reperimento delle risorse: data scientist, cloud engineer, analisti esperti di cybersecurity , di IA machine learning sono tra le figure più ricercate. Per attrarle e trattenerle, i CIO puntano sulla formazione e, soprattutto, su progetti che appassionino e valorizzino le persone. Credito: Monkey Business Images / Shutterstock Le imprese italiane assumono. O, almeno, vorrebbero farlo, perché, a fronte di 1,4 milioni di figure ricercate per il trimestre settembre-novembre 2023, il 48% sarà difficile da portare in azienda. I dati arrivano dall’ultimo Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere (Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) in collaborazione con Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro). Le assunzioni programmate, con un contratto a tempo determinato superiore a un mese o a tempo indeterminato, risultano in aumento dell’1,9% rispetto all’analogo periodo del 2022, ma cresce anche – addirittura del 5% – la difficoltà di reperimento delle risorse. Nel caso delle assunzioni in ruoli tecnico-ingegneristici, che includono l’IT, le imprese prevedono una difficoltà ad assumere il 60%-70% delle figure ricercate. Mancano i candidati o la loro preparazione è inadeguata, spiegano gli intervistati di Unioncamere. “Il dibattito pubblico sta dando da mesi grande risalto al tema della difficoltà di reperimento del personale da parte delle imprese, un problema che in Italia è andato crescendo in maniera notevole negli ultimi 3 anni”, commenta Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. “Se, nel 2019, riguardava il 26% delle assunzioni programmate, nel 2022 è arrivato a toccare il 40%. In realtà l’Italia è in buona compagnia su questo fronte, poiché il nostro Paese è al 69° posto, su 133 paesi mondiali, per facilità delle imprese nel trovare le figure professionali con le competenze richieste. L’Ocse segnala che quasi il 20% dei lavoratori ha competenze inferiori a quelle ricercate. In Italia il problema interessa quasi un lavoratore su cinque, in misura più diffusa rispetto alla media Ue (18,2% a fronte del 16,8%)”. Anche per questo le figure più preparate e specializzate “vanno a ruba”. La remunerazione è il primo strumento per attrarre i talenti, e ciò gioca, ovviamente, a favore delle grandi imprese rispetto alle piccole. Ma anche le grandi subiscono la concorrenza dei datori di lavoro con sedu all’estero. Per questo le leve di attraction and retention devono essere anche altre, e la leadership del CIO, da questo punto di vista, è fondamentale. A caccia di talenti IT: quando le imprese collaborano con le università La situazione fotografata a settembre da Unioncamere rappresenta un deterioramento del quadro tracciato nel volume “Competenze digitali, 2022” del Sistema Informativo Excelsior con il Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne. Nel 2022, quasi il 70% delle imprese italiane ha investito nella trasformazione digitale, e ha cercato figure specializzate con competenze digitali da applicare ai diversi processi aziendali, scontrandosi con la difficoltà di reperimento. Per le competenze di base si parla di una difficoltà superiore al 40% della domanda, ma per quelle più evolute si arriva a punte del 47%. Inoltre, se si cercano profili in possesso di un mix di competenze IT, le difficoltà di reperimento superano anche quest’ultima soglia della domanda, e raggiungono punte molto più elevate per le professioni specialistiche legate all’implementazione dei processi di digitalizzazione, quali matematici, statistici e professioni assimilate (82%), analisti, progettisti software nonché progettisti e amministratori di sistemi informatici (64%). Molte aziende di medio-grandi dimensioni cercano di ovviare all’IT talent gap stabilendo contatti diretti col mondo universitario per reperire nuove figure. È il caso di Enel, l’azienda dell’energia che ha abbracciato in pieno la transizione digitale ed ecologica, due trasformazioni che vanno a braccetto e sono collegate dalla capacità di valorizzare i dati. Per questo la funzione IT di Enel si è potenziata negli anni con l’inserimento di profili quali data scientist, digital analyst, cybersecurity specialist, cloud engineer, IA e machine learning expert, solution developer/architect, hardware e firmware engineer, UX/UI designer. Ed è su questo tipo di competenze che l’azienda continuerà a puntare con una precisa strategia di talent attraction, che include anche le attività di orientamento agli studi nelle scuole superiori, con particolare attenzione al talento digitale femminile, per cercare di far salire il numero di laureate e laureati italiani in materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica). Infatti, come evidenzia il primo Rapporto sullo Stato del Decennio digitale di recente pubblicato dalla Commissione europea, in Italia la quota di laureati Ict è appena l’1,5% del totale, un valore insufficiente e significativamente inferiore alla media Ue del 4,2%. Inoltre, la percentuale di donne tra gli specialisti del mondo informatico è del 16%, al di sotto della media Ue del 18,9%. Ai talenti bisogna proporre una “vision” È indubbio che il divario formativo in materia di competenze digitali crei problemi alle imprese, conferma Nunzio Calì, Chief Technology Officer di Octo, azienda tecnologica che opera nel mondo dell’IoT applicando soluzioni digitali alla mobilità smart. “Data la natura del nostro lavoro e le caratteristiche del nostro business, Octo ha necessità di anticipare il mercato con tecnologie all’avanguardia; per questo collaboriamo da vicino con le università e con i principali istituti di ricerca, con i quali vengono attivati contratti di collaborazione e stage per il recruitment di talenti”, indica Calì. “Crediamo sia fondamentale, non solo per un’azienda come Octo, ma per tutte le imprese che vogliano restare competitive oggi, continuare ad attrarre i talenti digitali”. Nel caso di Octo, una figura centrale è quella del data scientist, ma per tutte le professionalità IT e non la strategia di attrazione è la stessa: motivare le persone valorizzandole, “facendo crescere le loro competenze e la leadership attraverso una visione olistica del loro contributo sia per il cliente sia per un mondo migliore”, indica il manager. Octo promuove al mercato della mobilità soluzioni per un mondo migliore attraverso la “Vision Zero”(zero incidenti, zero traffico, zero inquinamento) e per il CTO questa visione fa parte delle leve che l’azienda ha per attrarre talenti, perché crea un ambiente in cui le persone possono diventare “appassionati attori protagonisti dell’evoluzione dell’azienda, permettendole di essere competitiva e all’avanguardia nell’innovazione tecnologica”. Il ruolo del CIO: i candidati cercano un leader Per le aziende medio-grandi è più facile attrarre talenti con leve quali la remunerazione competitiva, i percorsi di carriera, la portata dei progetti e la forza del brand. Per le più piccole – lo sottolineano molti CIO italiani – può essere più complicato, soprattutto quando si parla di Ral (Reddito annuo lordo). Tuttavia, gli elementi di valore per i candidati sono molteplici. Una ricerca realizzata da Maw, l’agenzia per il lavoro parte di W-Group, su un campione di oltre 2.600 lavoratori in tutta Italia, dimostra che il compenso è certamente importante (prioritario per il 76% del campione), ma subito dopo ci sono sono il clima lavorativo (56%), le opportunità di crescita professionale (40%) e il carico di lavoro adeguato (37%). Il 33% dei dipendenti vuole lavorare senza troppo stress. Anche i benefit contano: bonus in denaro (54%), buoni pasto (33%), corsi di formazione (22%). Lo smart working risulta essere tra i desiderata del 16% del campione, ed è più rilevante per chi lavora in una grande impresa, mentre nelle Pmi prevale la richiesta di formazione. Chi ha deciso di cambiare lavoro almeno una volta (è il 56% del campione), lo ha fatto perché si è sentito sfruttato (22%) o non valorizzato (19%), perché non si trovava bene con il proprio capo (16%) o per i carichi di lavoro eccessivi che non consentivano un buon bilanciamento vita-lavoro (16%). D’altro canto, oltre sei rispondenti su dieci sono rimasti fedeli all’azienda dove hanno trovato il loro “miglior” datore di lavoro, ovvero il o la manager con le caratteristiche del leader percepite come ideali: capacità di ascolto, valorizzazione delle persone, stimolo al lavoro di squadra. È chiaro, dunque, che il CIO ha un ruolo determinante nell’aiutare la sua azienda ad affrontare il talent gap: la difficoltà di attrarre e trattenere talenti si risolve anche con la leadership. I CIO ne sono consapevoli: spesso la loro richiesta alla C-suite è di avere un ruolo-guida nelle assunzioni IT, partecipando alle fasi di proposta e selezione delle risorse. Questa non è una materia puramente HR, ma ha un alto contenuto tecnico, e il CIO è decisivo nel segnalare le competenze che mancano e nel decidere quali sono le figure che le possono portare in azienda. 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