La trasformazione digitale è un cambiamento organizzativo abilitato dalla tecnologia e, quando il top management non comprende il nuovo ruolo assunto dall’IT, il lavoro del CIO diventa tutto in salita. Abbiamo raccolto alcune testimonianze di leader IT - in qualche caso ex - di aziende e enti pubblici per capire quali progetti mettono a rischio la fiducia nel CIO e come evitare il peggio. Credito: Shutterstock/pathdoc Una delle maggiori barriere a un’effettiva trasformazione digitale [in inglese] è da ricercarsi nella leadership: quando si spezza il legame di fiducia tra il CIO e il CEO, o tra il CIO e i team del business chiamati ad attuare i cambiamenti, i progetti di digitalizzazione restano incompiuti. In qualche caso il Chief Information Officer si trova isolato fino al punto di decidere di lasciare l’azienda, sempre che non sia quest’ultima a mandarlo via. Durante l’ultimo summit di EY “CIO Future Leaders”, alcuni dei manager presenti hanno sottolineato come il CIO sia fondamentale per migliorare l’allineamento dei ruoli esecutivi intorno ai progetti di trasformazione aziendale, sia tecnologica che organizzativa. Il leader dell’IT deve saper comunicare la visione che sorregge l’intero progetto, creare e mantenere un senso di fiducia tra i vari stakeholder aziendali per ottenere una partecipazione convinta. “Il CIO ricopre un ruolo fondamentale a livello organizzativo, quello di orchestratore, affinché la nuova dimensione del lavoro in azienda – che deve puntare su un aumento della produttività, della qualità generale dell’esperienza professionale, dell’attrattività verso i giovani e del benessere di tutte le persone – si integri con l’evoluzione della tecnologia e dei modelli sostenibili”, afferma Luca Greco, CIO del Gruppo Salov (azienda multinazionale operante nel settore degli olii extravergini di oliva e proprietaria dei marchi Sagra e Filippo Berio) e che, in precedenza, è stato CIO di Carapelli (FMCG), di Gruppo Gavio (Concessioni Autostradali, Costruzioni e Logistica) e di una società toscana operante nel settore della moda (Retail e Wholesale). “La consapevolezza di questi obiettivi da parte del CIO, così come il riconoscimento e la fiducia dell’organizzazione nel suo ruolo, costituiscono fattori essenziali per il successo delle trasformazioni digitali. Il CEO senza il CIO non ha armi per poter affrontare e attuare un percorso così sfidante, così come il CIO, senza l’appoggio ed il convincimento del CEO, non ha chance di attuare alcun piano di trasformazione. È così che si arriva ad acquisire la fiducia di tutto il management”. Non sempre, però, tutto fila liscio. Anche se il CIO mette tutta la sua passione e competenza nei progetti aziendali di digitalizzazione, può accadere che le resistenze interne abbiano la meglio. Dalle esperienze di alcuni manager sono emersi tre grandi scogli su cui può infrangersi la fiducia tra il CIO e la business suite. L’implementazione dell’ERP Se volessimo stilare una classifica delle barriere che si frappongono al pieno successo della trasformazione aziendale [in inglese], probabilmente l’implementazione di un software di Enterprise Resource Planning (ERP) si posizionerebbe ai primi posti. Questa piattaforma enterprise rappresenta una fase avanzata nella digitalizzazione di un’impresa e richiede, di conseguenza, che siano presenti i tre fattori fondamentali di successo di ogni progetto IT: il budget, le competenze, e il sostegno del management. Nel caso di un ex CIO di un gruppo del manufacturing, l’ERP ha spezzato il rapporto di fiducia col CEO a tal punto da portarlo alle dimissioni. “La situazione era frammentata e la mentalità che avevo trovato in azienda era molto tradizionale, anche rispetto ad altre società dello stesso settore in cui avevo lavorato in precedenza”, racconta il manager. “I dirigenti erano costituiti per lo più da persone cresciute nel gruppo, senza esperienza esterna, e questo rendeva più difficile per loro capire il ruolo dell’IT nell’impresa e delle singole persone all’interno delle varie funzioni tecnologiche”. Il primo motivo di malcontento del CIO era proprio la sottrazione di risorse umane dal team: “I manager avevano l’idea che potessi far tutto ugualmente, anche con un gruppo IT ridotto. Inizialmente disponevo di 12 persone nel dipartimento IT centrale, più altre nelle filiali, ma la dirigenza ha poi optato per una riorganizzazione che ha decurtato il team”. In questo contesto si è inserita l’implementazione dell’ERP. “Il progetto faceva parte degli obiettivi che mi erano stati dati al momento dell’assunzione”, racconta l’ex CIO. “Dovevo far evolvere un sistema ERP esistente verso un prodotto aggiornato. Ho condotto con i dirigenti uno studio durato un anno per individuare le nostre esigenze e la soluzione più adatta a soddisfarle. Ma poi è mancato il supporto delle funzioni di business e ne è derivata l’insoddisfazione di tutti”. L’implementazione dell’ERP, infatti, richiede il coinvolgimento delle risorse interne e, in primis, delle diverse linee manageriali, affinché risponda alle necessità di business. Ciò esigeva un cambiamento nel modo di lavorare. In più, il progetto prevedeva il blocco temporaneo di altre iniziative al fine di essere terminato in tempi brevi. “Per me l’importante era continuare a garantire l’operatività e concentrarci sull’ERP in modo da arrivare a pieno regime il prima possibile. Ma i dirigenti hanno avuto la percezione che la nuova piattaforma fosse una causa di rallentamento, anziché apportare benefici”, racconta l’ex CIO. “Senza il supporto del management il progetto ha generato frustrazione, così alla fine è stato attuato solo nel dipartimento IT. Ma non aveva senso. Ho sentito che la fiducia nel mio operato era venuta meno e, alla fine, ho lasciato l’azienda”. L’integrazione dei processi La trasformazione digitale è anche basata sull’integrazione dei sistemi enterprise e delle diverse tecnologie che si implementano. Anche questo può essere un concetto che il CIO fatica a trasmettere al top management. Per un’azienda manifatturiera, per esempio, questa evoluzione si concretizza nell’integrazione dell’IT dei sistemi di fabbrica (lo smart manufacturing) con l’IT dei sistemi aziendali. Ma occorre una regia unica, affidata al CIO e al suo team. “È un problema di mentalità della classe imprenditoriale italiana e della dirigenza nella Pubblica Amministrazione”, ci ha detto un CIO di un’azienda della produzione alimentare. “Anche quando fa parte del comitato direttivo, il CIO non sempre riesce a portare avanti certi processi. Io ho proposto di integrare l’IT di fabbrica con l’IT centrale e anche i processi produttivi con quelli logistici, estendendo il cambiamento a tutta la supply chain. Ma finora ho trovato difficoltà”. Così, internamente, si finisce col fare tanti POC (proof-of-concept) e progetti slegati tra loro, mentre all’esterno, al livello dei fornitori, ci si scontra con realtà che non comprendono a pieno le logiche della digitalizzazione. La tecnologia c’è ed è matura; le carenze sono nella cultura. Sono molti i Chief Information Officer che lamentano la “resistenza a uscire dalla comfort zone” di fronte a CEO e manager che sostengono di non disporre né del tempo né delle risorse per cambiare. Il che è un controsenso, perché “la trasformazione digitale esige di cambiare sempre. È un percorso continuativo e solo chi sa affrontarlo in quest’ottica ottiene un vantaggio competitivo”, ci ha detto un CIO. La trasformazione organizzativa Nella Pubblica Amministrazione, alcuni leader dell’IT mettono l’accento su un ulteriore aspetto: la difficoltà di far comprendere che è necessario passare dall’IT tradizionale a una forte governance del digitale, da attuarsi attraverso percorsi di cambiamento nei quali la tecnologia fa da abilitatore e l’organizzazione porta a compimento il progetto di trasformazione condiviso. “Il processo di digitalizzazione non può essere solo tecnologico: per agire sui processi servono leve organizzative”, afferma Stefano Tomasini, Dirigente Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed ex CIO INAIL. “È essenziale che non solo il CIO, ma tutte le funzioni lavorino in sintonia sulla base di un forte commitment da parte del vertice aziendale. La tecnologia da sola non determina la trasformazione digitale. L’IT responsabile della transizione non è più la funzione chiamata a informatizzare le procedure aziendali: la digitalizzazione è lo strumento che fa evolvere l’organizzazione interna, le risorse umane e i servizi, rendendo questi ultimi confrontabili con l’esperienza che ciascuno di noi ha con le organizzazioni native digitali”. Si tratta di un cambio di prospettiva necessario per la PA come per tutte le aziende che offrono servizi, ma che non sempre il CIO riesce ad innescare se non ha il sostegno di tutte le funzioni aziendali e del top management. Come evitare gli ostacoli lungo il cammino del CIO La resistenza al cambiamento è il filo conduttore in tutte queste storie. Greco parla di una serie di fattori che rallentano, quando non bloccano, “il processo”. Tra i principali c’è la “mediocrazia, intesa come accomodamento a uno status quo ben lontano dalla tensione comune al miglioramento e figlio, molto spesso, del comando e controllo che permea la maggior parte delle nostre aziende”, secondo il CIO del Gruppo Salov. Chi fa scudo contro la trasformazione digitale (in quanto obbliga a imparare cose nuove) tacitamente si allea con chi ha sentimenti simili e in azienda si arriva a creare uno zoccolo duro di resistenza difficile da scalfire. Questi livelli dell’organizzazione sono gli stessi dove, evidenzia Greco, si trovano “molti giovani promettenti i quali, non trovando sbocco per le proprie inclinazioni, le proprie idee e le proprie ambizioni, il più delle volte se ne vanno”. In altri casi, la promessa su cui si basa la digitalizzazione, ovvero di restituire tempo alle persone e rendere il loro lavoro più efficiente e appassionante, non si realizza. “Parte della responsabilità è sicuramente da ricercare nella mancanza di preparazione e in scelte non felici da parte del CIO, ma, il più delle volte, deriva dal non aver lavorato al progetto tutti insieme”, afferma Greco. Due aspetti fondamentali del percorso di trasformazione sono, infatti, la formazione ed il change management. “I manager devono rendere evidente l’esigenza di cambiare, far percepire i miglioramenti, comunicare la strategia. È necessario accompagnare le persone al ripensamento dei processi operativi e dei comportamenti”, sottolinea Tomasini. In definitiva, la passione e la capacità comunicativa del Chief Information Officer sono il necessario collante nel proprio team e per tutti coloro che agiscono da attori della trasformazione, fornitori compresi. Senza le sinergie, la trasformazione digitale diventa un viaggio accidentato, perché non si riescono ad abbattere i silos organizzativi stratificatisi nel tempo. È questa una delle principali cause di fallimento, cui si lega la perdita di fiducia nel CIO da parte del CEO e del resto del management. Contenuti correlati In primo piano Ecco come i CIO stanno ripensando alle strategie sul cloud Facendo tesoro e mettendo in pratica gli insegnamenti appresi dalle prime incursioni nel cloud, i leader IT stanno abbandonando i mantra platform-first a favore di strategie specifiche per i carichi di lavoro, in modo tale da poter decidere con pi&ug Di Paula Rooney 28 Feb 2024 7 minuti Edge Computing Cloud Computing Data Center In primo piano Composability, come costruire - mattone dopo mattone - un’azienda Agile La metodologia Agile è la risposta per i CIO che cercano flessibilità, business continuity e reattività ai cambiamenti. 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