Patrizia Licata
Di Patrizia Licata

Trasformazione digitale: la chiave del successo è mettere il CIO alla guida

In primo piano
30 Oct 20239 minuti
CIOTrasformazione digitaleGestione IT

Modificare i processi grazie a un CIO che riporta direttamente al CEO: è questo il punto di partenza di una strategia di successo guidata dall’IT. Il CIO deve dialogare con il business alla pari e diventare “da tecnico a stratega”, portando la cultura del cambiamento in tutta l’organizzazione grazie a intelligenza creativa e capacità di leadership. Dal punto di vista tecnico, dovrà spingere sull’integrazione dei sistemi per evitare una digitalizzazione a metà.

Business Discussion
Credito: Getty

La trasformazione digitale coincide con la capacità dell’intera organizzazione aziendale di modificare mentalità e processi: non è sufficiente adottare delle soluzioni tecnologiche, e il CIO non può limitarsi al mero compito di selezionare e implementare i prodotti IT; invece, deve diventare “da tecnico a stratega”. È quanto scrivono gli esperti di Page Executive (società di head hunting di Page Group per profili di leadership) in una nota di ricerca sul “CIO del futuro”.

Un futuro che dovrebbe essere già presente e che ruota intorno al riconoscimento del Chief Information Officer come parte della C-suite. “Tipicamente, in passato, il CIO riportava al CFO e doveva muoversi nei confini, a volte stretti, di un budget ben definito. Ora, sempre più spesso, siede nel board e riporta al CEO, e questo è fondamentale per il successo della strategia digitale”, sottolinea Luca Danelon, Principal della practice Technology di Page Executive.

Per Raffaele Todisco, CIO del gruppo alimentare La Doria, è esattamente il ruolo-guida del Chief Information Officer la chiave di volta: “Il primo grande ostacolo a una vera trasformazione digitale è il mancato posizionamento dell’IT ai vertici delle funzioni aziendali”, afferma il manager.

Alla guida della digitalizzazione aziendale

Troppe realtà non vedono l’IT e il CIO in posizione primaria. “A volte, questa figura dipende ancora dal CFO o dall’HR; anche da noi è stato così fino al 2019. Ma oggi faccio parte del comitato direttivo e sono a capo di una funzione IT che è autonoma e di pari livello rispetto alle altre”, sottolinea Todisco. “Questa collocazione strategica è stata un passo importante nella governance e nella progettualità dell’information techhnology nella nostra azienda”.

La Doria, negli anni, è cresciuta fino a diventare una grande azienda del settore alimentare, con fatturato generato per la maggior parte all’estero e vendite non più dipendenti dalla sola lavorazione del pomodoro. Questa crescita è stata accompagnata e favorita dall’innovazione tecnologica, come l’adozione delle piattaforme business, la migrazione al cloud o l’automazione negli impianti produttivi.

In questo quadro, il CIO agisce da orchestratore o “regista della digital transformation”, assumendo nuovi compiti. Per esempio, deve instaurare un dialogo costante con tutti gli altri dirigenti per far passare il messaggio sulla centralità dell’innovazione e comprendere a fondo gli obiettivi strategici, in modo che l’IT risponda alle necessità del business.  

Questa crucialità del CIO è messa in particolare evidenza dall’evoluzione verso il paradigma Industria 4.0, che consiste nella digitalizzazione avanzata di tutto il processo produttivo. “I sistemi di fabbrica sono la parte del grande insieme della digitalizzazione aziendale”, afferma Todisco. “MES (Manufacturing execution system) e PLC (Programmable Logic Controller) devono integrarsi con i software gestionali e di analytics, con il cloud, le reti LAN, l’IA e tutte le altre tecnologie usate nell’intera organizzazione. Non ci si può fermare alla visione della fabbrica, occorre quello sguardo a 360° che solo il dipartimento IT ha”. Così Industria 4.0 e, in generale, la trasformazione digitale aziendale, diventa quello che veramente è: “Integrazione di tutti i sistemi e processi in campo”, dice Todisco. Ed è qui che il manager punta per il nuovo capitolo della trasformazione digitale di La Doria.

La leadership dell’IT è cruciale per l’Industria 4.0

L’integrazione di tutti i sistemi in un’unica piattaforma che gestisce le operation è esattamente il fulcro della trasformazione digitale di L.M. dei f.lli Monticelli (azienda marchigiana del manufacturing, attiva nel settore degli accessori per serramenti). “L’integrazione è il nostro punto di forza”, afferma il CIO Marco Senigagliesi.

“La trasformazione digitale di Monticelli è iniziata fin dal 2000 con l’implementazione di un gestionale in cui l’IT ha progressivamente integrato tutti i processi, dal ciclo attivo e passivo fino alla produzione di fabbrica, quindi con un dialogo anche con il MES”, riferisce Senigagliesi. “Abbiamo più di 50 macchine nelle nostre fabbriche con diverse funzionalità e tecnologie; oggi tutte sono collegate in rete e la nostra produzione è monitorata in tempo reale: dai nostri uffici sappiamo in ogni momento cosa succede nella fabbrica”.

L’ingresso di Senigagliesi in azienda, nel 2016, ha rappresentato un impulso decisivo alla trasformazione digitale, perché è coinciso con una volontà del management di aumentare l’importanza del ruolo dell’IT e del CIO.

“Quando sono entrato, il focus era più sullo sviluppo applicativo; ora abbiamo potenziato l’attenzione sull’infrastruttura e la sicurezza in generale” afferma il CIO di Monticelli. “Ho spinto su questi aspetti e sugli investimenti e devo dire che quasi tutti i progetti che ho proposto sono stati accettati”.

Le nuove competenze: pensiero laterale e intelligenza emotiva

L’integrazione dei sistemi è un elemento-chiave della digitalizzazione e, per spingerla, il CIO dovrà dar prova di nuove competenze soft, come evidenziato da Page Executive. L’intelligenza emotiva, per esempio, è la capacità di comprendere e gestire le emozioni proprie e altrui e di elaborarle in modo tale da garantire la produttività del lavoro e il benessere delle persone. Si tratta di una qualità che agevola fortemente l’uscita dalla comfort zone mentale.

Il CIO deve essere anche leader e mentor, generare fiducia nel cambiamento e valorizzare le persone attuando iniziative di inclusione. Deve saper pianificare un progetto a lungo termine, ma anche dare priorità a progetti innovativi che producono risultati in tempi rapidi, mettendo in evidenza i vantaggi della trasformazione. Di fronte a situazioni mutevoli, deve dar prova di capacità di pensiero laterale, andando al di là dei percorsi tracciati e ideando soluzioni creative ai problemi.

“L’investimento nel cambiamento è grande non solo in termini di acquisto di tecnologie, ma di tempo e risorse umane, perché, quando si attua un progetto di trasformazione digitale, come il passaggio al cloud o l’adozione di un nuovo CRM o ERP, tutta la struttura aziendale è coinvolta e le persone vanno formate e motivate a cambiare”, osserva ancora Danelon. “Il ruolo del CIO è quello di sviluppare una rete di relazioni interne all’azienda con i vari stakeholder al fine di influenzare, guidare e governare il processo di innovazione”.

Il ruolo del CIO nel post-pandemia

Dopo la pandemia, del resto, il ruolo dell’IT è profondamente cambiato. “Si tende a lavorare prevalentemente in modalità ibrida e da remoto, e la protezione dei sistemi informatici è divenuta ancora più importante”, osserva Carmelo Velardo, IT Business Partner di Bridgestone EMIA, South Region. Allo stesso tempo, “è diventata ancora più forte l’esigenza di operare a stretto contatto con chi si occupa del business, individuando nuove opportunità e sviluppando nuove soluzioni. In questo senso, Bridgestone – pur avendo un modello IT centralizzato – è molto attenta nel lasciare la possibilità ai team locali di portare avanti iniziative indipendenti e legate allo specifico contesto, ed è pronta a raccogliere le best practice locali e a estenderle alle altre entity del Gruppo qualora ne possano trarre beneficio”, riferisce il manager italiano del colosso mondiale degli pneumatici.

Per esempio, il team di Velardo ha realizzato, tramite uno dei servizi più diffusi di business intelligence, uno strumento per soddisfare esigenze locali di reporting e BI. Ora la casa madre sta valutando la possibilità di estenderlo ad altri paesi dell’area EMIA (Europa, Medio Oriente, India e Africa).

Un altro progetto di digitalizzazione guidato da Velardo risponde sia all’esigenza di automatizzare sia a quella di attuare la segregation of duties (separazione dei compiti e delle funzioni anche in ottica di sicurezza), “Abbiamo avviato in Italia lo sviluppo di un tool per il monitoraggio sull’esposizione del credito dei nostri clienti. L’iniziativa è stata sponsorizzata dall’Head of Credit di gruppo e, al fine di armonizzare la procedura di controllo cross-country, ci stiamo approcciando all’estensione di questo strumento a tutti i paesi dell’area EMIA”, conclude Velardo.

La chiave del successo: un CIO regista a fianco del CEO

In ogni caso, l’innovazione è un percorso a tappe, non solo perché le tecnologie e gli obiettivi di business cambiano, ma perché “una piena trasformazione digitale richiede di innovare anche, forse soprattutto, i processi”, evidenzia Todisco di La Doria. “Occorre cambiare il modo di essere”.

Per Todisco, le imprese che capiscono che la cultura del cambiamento è centrale e danno all’IT un ruolo di regia guadagnano un vantaggio competitivo. Chi procede per progetti singoli o POC (proof-of-concept) senza arrivare alla loro integrazione potrebbe non cogliere le piene potenzialità della digitalizzazione.

“Il CIO del futuro ha una visione strategica”, sottolinea Danelon. E in questa vision, a volte, possono rientrare anche decisioni apparentemente controcorrente, ma funzionali per la propria impresa.

Senigagliesi ha condotto un’analisi dei costi e benefici di un progetto di migrazione al cloud e alla fine la decisione è stata di non procedere, perché la L.M. dei f.lli Monticelli non ha particolari esigenze di scalabilità delle risorse informatiche e i data center interni sono più che sufficienti.

“Per la parte della produzione, che rappresenta la nostra attività core e dove risiedono i nostri dati strategici, non abbiamo picchi che giustificano l’investimento nel cloud”, spiega Senigagliesi. “Avevamo già delle macchine virtualizzate e abbiamo optato per un aggiornamento per aumentarne l’affidabilità e le performance, con doppio nodo fisico, storage su SAN (Storage Area Network) SSD, doppio sistema di raffreddamento della sala server, UPS ridondanti e gruppo elettrogeno per gestire i blackout. È ovvio che, se un’azienda parte da zero, il cloud conviene, ma noi avevamo già un data center strutturato, per cui parte degli investimenti li avevamo già fatti in passato”.

Ciò non esclude il ricorso al cloud per specifiche applicazioni non core (come la posta elettronica) e per il backup dei sistemi (affidato a un provider specializzato nello spazio disco): la strategia IT è allineata col business. E questo rientra perfettamente nella figura del “CIO del futuro”.

Patrizia Licata
Di Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Giornalista professionista e scrittrice. Dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare come freelance sui temi dell’innovazione e dell'economia digitale. Scrivo anche di automobili, energia, risorse umane e lifestyle. Da una ventina d’anni collaboro con le principali testate italiane su carta e web.

Altro da questo autore